Ed è ancora David Lynch. Forte del Leone d'oro alla carriera all'ultima Mostra di Venezia, dove portava questa sua ultima fatica, il regista americano è tornato a ruggire, spalancando le fauci della sua autorialità estrema, del suo impero interiore: INLAND EMPIRE, rigorosamente maiuscolo. E l'ha fatto rincarando la dose. La dose onirica, folle e geniale del suo cinema, che trova definizione solo nella tautologia: lynchano. INLAND EMPIRE è sì una zona dell'amata Los Angeles, ma soprattutto un idiosincratico impero dei sensi, un locus creativo che partorisce incubi da visione. In questo ultimo capitolo, Lynch getta nella sua anti-materia poetica la diletta Laura Dern, Jeremy Irons, Justin Theroux - già visto in Mulholland Drive. E partorisce un mare magnum profondo notte, increspato di sangue, travolto più che travolgente, che sfida la forza di gravità di qualsivoglia drammaturgia. Laura Dern è braccata, scrutata, stuprata da una macchina da presa obliqua, invasiva e ammorbante, che molte altre attrici - tutte? - rifiuterebbero. Inchiodata in stanze claustrofobiche, tallonata nella notte prezzolata di Sunset Boulevard, ingaggiata dal regista Irons e affiancata sul set da Theroux, la Dern diviene vittima consapevole, capro espiatorio dell'ennesimo sacrificio lynchano: sull'altare del cinema puro a immolarsi è la logica. Per molti la visione non catalizzerà l'opinione, viceversa: gli estimatori del regista apprezzeranno, i suoi detrattori non muteranno posizione. Rispetto al prologo Mulholland Drive, INLAND EMPIRE è ancora più sregolato, apparentemente ancora meno "guidato". Tutto scorre, tutto passa. Infine la Dern muore, o forse no. Ma è un film divorante, egocentrico, narcisistico e - letteralmente - imperialistico. In rarissimi casi lo spettatore si sente così libero di scorrere tra le immagini, rischiando di perdersi, e contemporaneamente così vincolato al fluire di una poetica che non teme la contraddizione interna e l'aporia, ugualmente rischiando di perdersi. Forse solo in questo caso, la visione è così costrittiva, durante e dopo: soggezione, incomprensione, plauso, straniamento, repulsione sono reazioni indifferentemente legittime. Definitiva variazione sul tema (dell')inconscio, INLAND EMPIRE riscrive le regole del genere lynchano, mutando all'unisono il concetto stesso di opera e di giudizio sull'opera, ovvero muovendo verso l'infinito e oltre le coordinate della creazione e riducendo ai minimi termini l'utilità della critica. Ma con un retaggio antico: per Lynch il cinema può ancora cambiare il mondo. Almeno il proprio.