Indian - La grande sfida racconta la storia vera di Burt Munro, un settantaduenne neozelandese impegnato a realizzare un sogno lungo venticinque anni: battere il record mondiale sulla sua motocicletta Indian Scout nelle saline di Bonneville, Utah, nel 1963. Munro ricostruisce e modifica la sua vecchia  moto, progettata nel 1920 per non superare i 60 km/h, raccoglie i fondi risparmiati, ipoteca la sua casa per finanziarsi il viaggio dalla Nuova Zelanda agli Stati Uniti. Qui la sua personalità schietta e aperta lo porta a fugaci quanto significativi incontri: un travestito, un venditore di automobili usate, un nativo americano e una vedova. Tappe intermedie sulla strada del sogno: il suo bolide carenato vola a oltre 350 km/h, record perfezionato negli anni seguenti e rimasto imbattuto dal 1967. Nell'endemica mancanza di originalità del cinema contemporaneo, la storia di Burt Munro non ha minor meriti di altre recentemente adattate per il grande schermo. L'interpretazione di Anthony Hopkins è per intensità e pulizia straordinaria, giocata su registri da cui l'attore gallese latitava da tempo. Le sequenze motociclistiche sono indubbiamente affascinanti. Che cosa, dunque, non ci convince? Forse il fatto che - secondo la definizione di Todd McCarthy di Variety - il film è un "Rocky geriatrico", ispirato - aggiungiamo noi - dalla medesima certezza nella vittoria finale e sovraccaricato dall'indulgenza per l'età avanzata del protagonista. Indulgenza acquistata nel buonismo di Munro, nella sua ingenuità disarmante e nella sua costante affabilità. Per lui il sole dell'avvenire non conosce nemmeno nuvole passeggere. Burt Munro non si fa mancare niente: pronta comprensione dell'identità en travesti, scappatella con vedova dopo visita al defunto marito, cuore che barcolla ma non molla. Dove è la fatica, la sconfitta, la disillusione? Celebrare un record non significa occultare il sangue e le lacrime che l'hanno costruito. Raccontare la vecchiaia non implica eluderne le rughe. Altrimenti, il motore si ingolfa.