Il cinema di genere si alimenta di convenzioni narrative che a volte rasentano lo stereotipo. La cura dei dettagli e la capacità di racconto possono però trasformare un'idea trita e una storia banale in un prodotto quantomeno coinvolgente. Per arrivare a questo risultato non sono necessarie risorse importanti: basta un po' di buona volontà.

Di certo In the box non difetta di buone intenzioni, se si pensa che il regista Giacomo Lesina, al suo esordio dietro la macchina da presa per un lungometraggio dopo tanti anni come aiuto regista (ha lavorato, tra gli altri, con Luigi Comencini, Paul Schrader, Francesca Archibugi e Neri Parenti), e l'attrice protagonista Antonia Liskova hanno lavorato senza compenso per questo film.

Il risultato è un thriller certamente non originale, con qualche lacuna e ingenuità nella sceneggiatura, diversi passaggi narrativi non risolti e alcuni dialoghi difficilmente digeribili, ma che riesce alla fine a coinvolgere lo spettatore nelle sfortunate sorti della protagonista.

Una giovane donna (Antonia Liskova) si risveglia dentro un garage dal quale è impossibile uscire. Il motore di un'auto è acceso e ha pochissimo tempo per riuscire a salvarsi dal soffocamento. L'unico strumento con il quale può comunicare con l'esterno è un telefono cellulare molto difficile da localizzare e con poca batteria. Ad averla chiusa lì dentro è un uomo misterioso che sembra conoscere tutto della sua vita, del suo torbido passato e soprattutto di ciò che ha di più caro al mondo: la piccola figlia Vanessa...

In the box ha il merito di tentare di realizzare in Italia un film di genere a basso costo e in lingua inglese: un lodevole proposito.