Sempre di fretta, (quasi) sempre all'altezza, con charme e su un doppio fronte: professionale e affettivo. Grégoire Canvel (Louis-Do de Lencquesaing) è così, solo ma empaticamente con gli altri: la sua casa di produzione, sua moglie e le tre bambine. C'è un problema, però: quanto si muove, anche egoisticamente, e quanto, viceversa, è mosso dagli altri? A un certo punto, complici gravi problemi finanziari, la misura diventa colma, le energie si ribellano, corrompono dentro, fanno male, anzi fanno la fine, forse inconsulta, comunque ineffabile. Ma se Grégoire se ne va, non smette di farsi amare, ispirare, guidare: alla ribalta, la moglie (Chiara Caselli), che ne accoglie la doppia eredità.
E' Il padre dei miei figli, opera seconda di Mia Hansen-Løve, già attrice e compagna per Olivier Assayas, Prix Delluc a 26 anni per l'esordio Tout est pardonné e qui Premio Speciale della Giuria di Un Certain Regard a Cannes 2009. Se dietro Canvel si cela la figura di Humbert Balsan, morto suicida nel 2005, che avrebbe dovuto appunto produrre il suo esordio, l'omaggio della giovane regista è pudico, sobrio, pieno di grazia e compunzione, almeno fino al lutto. Poi l'affido alla moglie squassa narrativamente il film, che molla la sottrazione e cerca la quadratura edificante, persino l'agiografia di una vedova, dopo aver eluso quella del marito.
Si sfiora il melodramma, ma per fortuna ci sono le bambine, anzi le adolescenti già indagate fragili e inquiete in Tout est pardonné: sono loro il futuro umano e il furore artistico di Grégoire, loro il centro della commozione del Padre. La madre vorrà portare avanti la compagnia, la figlia rabbiosamente vorrà farla finita con quel carrozzone, stigmatizzando, pur affettivamente, l'egocentrismo di papà e la sua ossessione professionale. Che rimane? Un pugno nello stomaco, che nasce dal cinema, quello d'arte che fa la fama ma anche la fame, e un ritratto di famiglia orfano di paternità, non di umanità. E' questo l'amore di Mia.