Il titolo dice tutto: Il naso o la cospirazione degli anticonformisti. C’è il riferimento letterario, Gogol’, e anche la traduzione musicale del racconto evocato, l’opera buffa composta da Šostakovič tra il 1927 e il ’28; e c’è la spiegazione, perfino la parafrasi, che mette in campo un’allusione ironicamente complottista, tirando dentro e, nei fatti, sostenendo gli eroi che si oppongono ai regimi totalitari.

È un cinema colto, estremamente colto, quello che da oltre mezzo secolo porta avanti Andrej Chržanovskij, classe 1939, esponente di mezzo di una stirpe di cineasti (figlio dell’attore e doppiatore Yurij e padre di Ilya, autore dell’opera mondo DAU), una lunga e complessa carriera che esplora le frontiere dell’animazione. Non fa eccezione l’ultimo film, che arriva in Italia in concomitanza con l’infiammarsi della guerra, e quindi si pone anche come monito civile e atto creativo contro l’oppressione.

È un cinema colto, sì, e alto, altissimo, perché dialoga con un panorama culturale complesso ed enciclopedico, compendio e al contempo analisi del carattere russo così com’è stato filtrato, mediato, sublimato, parodiato, sviscerato dai suoi artisti nel corso degli ultimi secoli. Che trova la sua forma compiuta nella sperimentazione di un patchwork che mette insieme i disegni a mano e gli inserti in live action, le figure ritagliate e i materiali d’archivio, seguendo il flusso musicale, il montaggio attrattivo, la potenza immaginifica.

Necessario sintetizzare di cosa stiamo parlando. Il naso inizia in volo, a bordo di un aereo su cui viaggiano il regista e altre personalità del mondo culturale russo. Si rievoca il racconto di Gogol’, si ripensa all’opera di Šostakovič e ci si ritrova con Kovalev, assessore di collegio che una mattina si risveglia senza naso. Si scopre che il naso ha assunto vita propria, che va in giro per le strade di Pietroburgo fregiandosi del titolo di Maggiore.

Ci si imbatte poi in Bulgakov, l’autore de Il maestro e Margherita, che scopriamo assurdamente amico di Stalin. Quindi seguiamo quest’ultimo, che va a teatro per combattere la noia recandosi a teatro, e assiste all’opera Il naso rimanendovi turbato. L’allestimento così innovativo induce il leader a raccomandare il popolo sulla necessità di recuperare i classici e respingere i formalisti (l’allusione è a Rayok antiformalista, altra opera di Šostakovič, che fu accusato di formalismo assieme ad altri compositori come Prokof’ev e Kačaturjan).

La restituzione lineare non rende merito all’esperienza visiva e intellettuale di questo film, tanto ostico nella sua comprensione più superficiale quanto iperbolico nelle molteplici suggestioni che emana, e rischia di tarpare le ali a Chržanovskij e ai voli pindarici con cui si svincola dalle contingenze storiche per collocarsi in un tempo alternativo a quello ufficiale, dove gli smartphone d’oggi convivono con i proiettori delle origini e le immagini del passato si configurano altre da sé per rivelare significati velati.

In tre atti, anzi tre sogni, Il naso chiede allo spettatore di non affidarsi a una bussola ma di farsi accompagnare in una cavalcata non rettilinea (impossibile orientarsi in tutta la teoria di riferimenti storico-critici), costeggia l’onirico per incidere sul reale, omaggia i pionieri delle avanguardie per leggere il presente e anticipare il futuro. Sul finale, i volti si moltiplicano: sono gli artisti, gli anticonformisti, perseguitati e talvolta giustiziati dal regime staliniano. Più militante di così.