Strano destino, quello di Patrice Leconte. In patria considerato un cineasta popolare che sbanca i botteghini, in Italia un autore sensibile destinato a spettatori dal palato raffinato. Vero è che il regista francese ha l'anima divisa in due, una metà dedita al piacere della risata fine a se stessa e alla commedia irriverente, l'altra metà alla riflessione malinconica. Non è un caso, quindi, che nel 2006 abbia affidato alla distribuzione un film che nei primi mesi dell'anno in Francia ha fatto razzia di incassi, Les Bronzés 3 amis pour la vie, e ora si lanci sul mercato internzionale con un'opera intimista, Il mio miglior amico. A ben guardare, però, non si tratta dell'ennesima virata artistica cui Leconte ci ha abituato, Il mio miglior amico è infatti una sintesi perfetta di divertimento e struggente riflessione sui veri valori dell'esistenza. Leconte analizza con la solita leggerezza uno dei sentimenti più impalpabili e insondabili, l'amicizia, e al contempo lancia una nuova coppia comica: il sempre straordinario Daniel Auteuil e il quasi sconosciuto Dany Boon. Sono loro, nei panni di un ricco mercante d'arte che si scopre solo come un cane e di un tassista che all'apparenza possiede una simpatia irresistibile, il motore di una vicenda che mira a rispondere a domande elementari ma non per questo meno profonde: esiste la vera amicizia? E se sì, da cosa si riconosce? Sembra facile, ma trovare le risposte si rivela un percorso a ostacoli per i nostri eroi, che sembrano vivere esistenze ricche di incontri e invece affogano in un mare di solitudine. Tra alti e bassi, pur appartenendo a classi sociali e a culture assai diverse, i due finiranno per comprendersi e impareranno a volersi bene. Se l'esito è scontato, lo sono molto meno le sfumature psicologiche che accompagnano l'evoluzione dei personaggi. Da questo punto di vista Leconte ritrova la mano felice di Tandem e L'uomo del treno e ancora una volta costruisce le figure di due uomini fragili, vulnerabili, solitari ma in fondo innamorati della vita.