Talento radiofonico dai tempi della giovinezza fiorentina, Marco Baldini viene notato dai dirigenti di Radio Deejay e portato a Milano. Qui, oltre a formare l'accoppiata di successo con Fiorello (tuttora "in vita", grazie a "Viva Radio 2" e all'esperimento televisivo delle brevi strisce quotidiane in prime time), continua a sperperare lo stipendio rinchiudendosi ogni giorno in sala corse, dove conosce la bella cassiera Cristiana, arrivando ad accumulare debiti per qualcosa come 5 miliardi delle vecchie lire. Regista di grande talento, Francesco Patierno torna dietro la macchina da presa ben cinque anni dopo l'exploit di Pater familias, opera prima impregnata di un "realismo tragico" difficilmente dimenticabile, e confeziona ("senza scendere a compromessi", dichiara lui) un film altrettanto difficilmente qualificabile: operazione di per sé ostica - rendere sullo schermo l'autobiografia parziale di un personaggio vivente, oltretutto ben riconoscibile nell'immaginario collettivo attuale, non è cosa semplice - Il mattino ha l'oro in bocca tiene costantemente a distanza di sicurezza qualsiasi "caduta" verso il basso, preferendo il ben più rassicurante galleggiamento sulle acque relativamente placide della commedia con sporadiche onde tendenti al dramma. E' proprio questo, a ben vedere, il problema d'identità più lampante di un film apertamente schierato contro qualsiasi mimetismo (Elio Germano, bravo ma non imprescindibile, fa di tutto per evitare l'imitazione di Baldini, così come Corrado Fortuna, aiutato nella caratterizzazione di un giovane Fiorello data l'irresistibile carica insita nella natura stessa del personaggio da "interpretare"): un "vorrei ma non posso" che ben presto si riduce a schematica e prevedibile sintesi di un racconto che, sullo schermo, avrebbe dato molto di più se "sporcato" o reinventato drammaturgicamente. La sceneggiatura, firmata dal regista e dallo stesso Baldini, si preoccupa invece di "arrivare a tutti", finendo per non accontentare nessuno: si soffre poco, di fronte a quella che sarebbe dovuta essere la "triste vicenda di un ragazzo malato per il gioco", si sorride svogliatamente quando a farla da padrone è la leggerezza o qualche buona caratterizzazione (Carlo Monni nei panni del babbo di Baldini), si rimane indifferenti al cospetto delle comunque belle Martina Stella e Laura Chiatti, presenze di striscio in un film intangibile.