Toccante dramma al femminile sulla difficile sopravvivenza delle tradizioni. Non nuovo alla denuncia, il dissidente Wang Quan An vince l'Orso d'Oro a Berlino, con un vibrante spaccato sulle arcaiche comunità delle alture mongole. Potentissimo sul piano visivo, il film offre uno squarcio su pianure brulle, distese sterminate e montagne innevate, dove sparuti villaggi ancora sopravvivono in condizioni di povertà e semplicità estrema. Protagonista è la pallida e filiforme Yu Nan, che la straordinaria metamorfosi del film trasforma nella corpulenta (ma ugualmente bellissima) Tuya del titolo: emblematica incarnazione della forza femminile su cui ancora poggiano queste comunità, che il governo di Pechino vorrebbe trapiantare in massa nella città. Primi piani, fotografia e colori esaltano calibro e spessore che già le regala la sceneggiatura. In una realtà tanto sideralmente distante da apparirci aliena nei suoi ritmi e rituali antichi, è una giovane madre e moglie, che compie la paradossale e coraggiosissima scelta di divorziare e risposarsi, per trovare un uomo che si prenda cura del suo nuovo marito. Più degli stessi protagonisti parlano le zoomate sui volti: dai grandi ai piccini, fisionomie dal sapore antico e ricco di storia, da sole capaci di riempire lo schermo.