Il lato positivo non è (solo) una commedia romantica. Bradley Cooper sa essere stupefacente anche senza i fumi tossici di Una notte da leoni. De Niro ricorda semplicemente De Niro.
Se le sorprese non mancano nell'ultimo colpo messo a segno dai fratelli Weinstein, a confermarsi su livelli altissimi sono Jennifer Lawrence - 22 anni, l'Oscar e una maturità degna della splendida collega, Jacki Weaver - e David O. Russell che, due anni dopo The Fighter, sferra un altro gancio micidiale allo stomaco dello spettatore, mandando al tappeto anche il più compassato.
Gli americani ci hanno insegnato che il cinema è fatto di geometrie, moduli narrativi ingessati, macchine produttive super-corazzate, astuzie commerciali ed eccellenza. Tutte cose in effetti che ritroviamo nell'adattamento del romanzo di Matthew Quick (L'orlo argenteo delle nuvole), ma che da sole non ne spiegherebbero l'unicità al di là del canone, il vortice vivo di flussi emotivi sotterranei.
Cooper è Pat, adulto bipolare. Dopo 8 mesi trascorsi in un istituto psichiatrico, l'uomo ha un solo obiettivo: riconquistare la moglie, che però ha ottenuto un'ordinanza restrittiva nei suoi confronti. Chi scommetterebbe sul buon esito dell'impresa? Non lo psichiatra che lo ha in cura né gli amici che pure lo sostengono e nemmeno i genitori, che ritengono poco convincente la guarigione del figlio: del resto, come dovrebbero giudicarla quando vengono svegliati in piena notte mentre inveisce contro la tempra depressiva di Hemingway e lancia il suo Addio alle armi dalla finestra? Pat è parecchio incasinato e solo una altrettanto disturbata potrebbe dargli credito. Una come Tiffany, appunto.
Avete già capito come andrà a finire? Diffidate di voi stessi e scommettete sul film, che rimbalza tra il dramma e la commedia come uno yo-yo sentimentale, fedele più ai tumulti del cuore che alle regole di un genere. Nevrotico, dirompente, brillante, il paso doble di David O. Russell aggancia script e mdp alla mente elettrica dei suoi personaggi, scende fino in fondo al disagio per poi impennarsi spinto da nuove, insperate risorse. I nostri occhi nei loro, umidi e speranzosi, trascinati corpo e nervi nella guerra autistica di due individui in rivolta contro le bizzarrie della mente, come se una supposta normalità potesse davvero tracciare una soglia psichica e morale valida per ciascuno.
Silver Linings Playbook (titolo originale: lo preferiamo) abolisce ogni parametro, ci dichiara tutti compromessi, vincolati alle nostre singolari, sottaciute follie. Perciò salvabili: venire a patti con quello che siamo significa liberarsi da una sinistra mania di perfezione, guardare chi abbiamo davanti, guardare avanti. E vedere il lato positivo della vita oltre i miraggi - l'happy end - di una beffarda fede nel destino. E nel cinema.