Capelli lunghi, espressione sofferente e calibro 32 alla mano. Così nel 1974 Charles Bronson aveva messo a ferro e fuoco New York nel primo capitolo delle cinque avventure de Il giustiziere della notte, per la regia di Michael Winner. Oggi ci spostiamo a Chicago, una città che dal 2015 ha visto un aumento vertiginoso della criminalità. I membri delle gang si massacrano in periferia e gestiscono lo spaccio di quartiere, mentre in centro aumentano le rapine e, quando qualcosa va storto, gli omicidi.

Ne sa qualcosa Paul Kersey (un tonico Bruce Willis), cittadino modello, marito fedele e padre amorevole. Il suo lavoro è salvare vite: fa il chirurgo e, per deontologia, non deve distinguere tra buoni e cattivi. Tutti sono uguali con una pallottola in corpo o quando finiscono sotto i ferri. Nella sequenza iniziale, un poliziotto muore sul lettino della camera operatoria. E subito dopo Kersey cerca di strappare dalla morte il suo assassino. Potrebbe essere un angelo con il camice, fino a quando la violenza bussa anche alla sua porta.

Una notte, tre uomini fanno irruzione nella sua villa da favola. Vogliono rubare soldi, gioielli e orologi, ma la situazione precipita. La bella moglie muore e la figlia finisce in coma. Kersey scopre la sofferenza e non vede la luce in fondo al tunnel. Lo Stato lo abbandona, la foto dell’amore della sua vita finisce sulla lavagna dei casi irrisolti. La polizia non può aiutarlo e non gli resta che farsi giustizia da solo.

 

Questa nuova versione de Il giustiziere della notte mantiene l’anima selvaggia dei primi film, ma non aggiunge nulla alla follia sanguinaria che più di quarant’anni fa animava Bronson. La differenza è che il regista Eli Roth esalta un inutile travaglio interiore, mentre il vecchio protagonista sparava senza porsi troppe domande. Naturalmente Roth spinge l’acceleratore sul sangue e si dimostra ancora una volta il re del torture porn.

In materia di sevizie la sa lunga. Aveva rinchiuso un gruppo di giovani in un ostello vicino a Bratislava in Hostel, per mettere in scena una nuova pornografia del sadismo. Roba da snuff movie, come anche il secondo capitolo (Hostel 2) e il cannibalismo di The Green Inferno. Qui abbassa i toni, ma le teste che esplodono, le ossa che si spezzano e l’onnipresente colore rosso rimangono un tratto distintivo del suo cinema, per la gioia dei più giovani e di chi ama la serie B del grande schermo.

 

La novità rispetto al 1974 è internet, il web, che permette al protagonista di diventare famoso con il soprannome del “mietitore”. La radio, la televisione e You Tube parlano di lui, e si chiedono se serva davvero un vendicatore che si aggira nell’oscurità. Ma lo spirito reazionario resta in secondo piano e forse l’aquila americana, nell’epoca di Trump, avrebbe bisogno di un messaggio di pace.