"Nessuno sa quanto si debba amare Dio per capire che bisogna perpetrare il Male al fine di salvaguardare il Bene". È nel monologo-confessione di un Andreotti/Servillo con sguardo fisso in camera la sintesi de Il Divo, pop-biopic costruito da Paolo Sorrentino intorno alla figura del senatore a vita ai tempi del suo settimo e ultimo governo, per raccontare il passaggio cruciale che, di fatto, sancì la morte della Prima Repubblica. Dall'ouverture shock con l'elenco di morti eccellenti, passando per l'arrivo della "brutta" corrente (in grande spolvero il Cirino Pomicino di Buccirosso), la consueta camminata a Via del Corso per la confessione mattutina ("i preti votano, Dio no..." dice Belzebù al sacerdote che gli ricorda di quando arrivava in chiesa insieme a De Gasperi), contrappuntata dal Pavane di Fauré, fino alle accuse dei pentiti di mafia, il processo di Palermo e quello di Perugia per l'omicidio Pecorelli: fortunatamente alla larga da qualsiasi tentazione calligrafica e sostenuto da un lavoro sul suono come al solito eccellente (premiato a Cannes, insieme alla fotografia di Bigazzi), Sorrentino dimostra una volta di più quanto totalizzante ed estrema sia la sua idea di cinema, amalgama di sequenze dall'atmosfera e dall'impatto devastanti, surrealista ai limiti del parossismo, come lo skateboard che attraversa i corridoi di Montecitorio seguito dall'auto di Falcone in volo esplosa a Capaci. Non manca l'invettiva, come era prevedibile, ma il cinema civile di Rosi e il coraggio di Petri erano altra cosa: inquadrando Andreotti si racconta un'enorme pagina del nostro Paese, è vero, magari provando a concepirne il presente esplorando il recente passato, ma il contraccolpo sull'oggi sembra essere meno assordante di quanto sia stato con Il Caimano di Moretti e la sensazione - sorvolando sulla scelta di "iconizzare" a tal punto il personaggio da farlo esprimere sempre e comunque per aforismi - è quella di trovarsi di fronte ad un altro amico di famiglia (si pensi alla scena in cui accoglie in casa tutti i poveri vecchi elettori), meno becero ma forse più inquietante.