Nelle vicinanze di un campo rom a Guidonia viene ritrovato il corpo di una donna vittima di uno stupro. Il suo compagno (Tiberio Suma) vuole vendicare la ragazza e si mette personalmente alla ricerca dei responsabili. Sarà accompagnato da Denis (Denis Malagnino), padre di famiglia senza lavoro che cerca in ogni modo di far desistere l’amico dai suoi progetti di giustizia fai da te.  La situazione si complicherà ulteriormente quando entrerà in scena il Tibetano (Stefano Miconi Proietti), beffardo boss del quartiere con il quale Denis è pesantemente indebitato.

Dopo La rieducazione e Ad ogni costo il collettivo Amanda Flor, composto da Davide Alfonsi e Denis Malagnino, porta in sala un implacabile viaggio ai confini della notte dove non c’è riscatto per nessuno. Ambientato quasi interamente all’interno di una macchina e in un paesaggio periferico privo di connotazioni storiche e culturali (è l’hinterland romano, ma potrebbe essere qualsiasi altra periferia) Il codice del babbuino ci racconta una storia di intolleranza dove: “La gente non dà niente per niente”.

I difetti non mancano e sono lampanti: è pieno di movimenti di macchina un po’ sporchi, l’audio spesso sbalza, le scene sono slegate l’una dall’altra e Denis Malagnino nei panni del Grillo parlante che cerca in tutti i modi di far rinunciare  alla sua vendetta personale l'amico talvolta rasenta il ridicolo. Ma tra atmosfere cupe e spari fuori campo ha il merito di essere originale nel panorama del cinema italiano, quasi un western metropolitano, e di saper affrontare un tema purtroppo molto attuale: l’idea che in qualche modo si possa privatizzare la giustizia e la poca fiducia nelle istituzioni.