Tunisi, 1942. L'amicizia tra Nour (Olympe Borval) e Myriam (Lizzie Brocheré) - due adolescenti di cultura e religione diversa (la prima è musulmana, l'altra ebrea) - viene messa in crisi dall'arrivo nel paese dei nazisti e della loro propoganda antisemita. Il Terzo Reich applica allo stato africano la politica già sperimentata a Vichy, ghettizzando la popolazione di religione israelita e creando violente contrapposizioni in una regione caratterizzata fino a quel momento da una pacifica convivenza razziale. Il promesso sposo di Nour, Khaled (Najib Oudghiri), collabora con la Wehrmacht nelle operazioni di rastrellamento, mentre la madre di Miriam, Tita (la stessa regista del film Karin Albou), caduta in disgrazia, impone alla figlia di sposare il ricco ma inviso Raoul (Simon Abkarian).
Le divisioni tra arabi e israeliani? Tutta colpa degli europei. Tesi storicamente accreditata che Il canto delle spose - secondo lungometraggio della francese di origini algerine Karin Albou, a Cannes nel 2005 con La petite Jerusalem - fa propria declinandola nei suoi risvolti più umani. Ne viene fuori un bell'esempio di cinema ibrido, che cambia continuamente registro, passando dalla storia d'amicizia al dramma bellico, dal romanzo di formazione (la scoperta della sessualità, dell'amore e della brutalità della vita delle due giovani protagoniste) al documentario antropologico. Mentre la cornice stilistica rimane coerente, impressionista e attenta ai dettagli - i significati vengono affidati all'intensità dei primi piani (facce, pelle, oggetti), all'organizzazione degli spazi (bui e chiusi quelli attraversati dai nazisti, ampi e colorati quelli vissuti dalle due eroine), all'eloquenza dei riti comunitari (epidermica, violenta e lungamente filmata la depilazione di Myriam prima delle nozze) - idealmente vicina all'approccio di Claire Denis e a quell'idea di cinema dove non è la pellicola a catturare la vita, ma è la vita (il suo dipanarsi) ad assorbire la pellicola.
Peccato che subentri qua e là il bisogno di semplificare la materia (troppo repentino, quasi schematico, il cambiamento di Khaled), a ricordarci che sempre di finzione si tratta. Questo, insieme a qualche fastidiosa lungaggine, il principale difetto del Canto delle spose. Che affida viceversa alla magnifica prova delle due protagoniste (della Brocheré soprattutto) la partitura emozionale del racconto e il compito di spezzare l'adagio triste della Storia.
Un duetto, il loro, che non si finirebbe mai di ascoltare.