Lassù, sulle montagne della Mongolia, il tempo sembra essersi fermato a secoli fa, all'esistenza semplice dei pastori nomadi, in accordo coi cicli della natura, e con fedeltà alle tradizioni orali e religiose (buddiste). Solo la motocicletta, che papà Batchuluun usa per raggiungere la città, rivela il tempo presente. E' estate. I suoi tre bambini partecipano al lavoro quotidiano col gregge, assieme alla mamma. Questa vera famiglia nomade è stata scelta da Byambasuren Davaa (una regista mongola cresciuta nelle scuole di cinema tedesche) per girare Il cane giallo della Mongolia. E' una "docu-fiction" che intreccia realtà e leggenda, documento etno-antropologico e racconto etico, antiche credenze (reincarnazione, rituali contadini) e attuali problemi della Mongolia (il passaggio dal nomadismo all'urbanizzazione). La sequenza insieme verista e simbolica, che esprime lo "smantellamento" della cultura nomade da parte della modernità, è quella della famigliola che smonta la tenda-abitazione per trasferirsi altrove. L'elemento esterno che però penetra nel nucleo familiare è un cagnolino, trovato in una grotta dalla bimba più grande, Nansal (6 anni). "Macchia" diventa suo compagno di giochi. Ma il padre non vuole che resti, teme che attiri i lupi a straziare le pecore. Nonostante il divieto, la bambina lo tiene di nascosto. La presenza dell'animale si ricollega alla "favola del cane giallo" che l'anziana della steppa racconta alla piccola. Mito ed esperienza reale quasi si confondono nella sensibilità infantile. Ma se il cane della leggenda scompare per "reincarnarsi" in un neonato, "Macchia" salva infine il fratellino di Nansal dagli avvoltoi, guadagnandosi l'accoglienza del capofamiglia. Dal punto di vista cinematografico, se da una parte la spontaneità dei protagonisti non ha bisogno di artifici (e le facce dei bambini si fanno contemplare con stupore), il ritmo e lo stile dell'autrice, documentarista per vocazione, appaiono un po' statici e poco coinvolgenti. Dato che non si tratta di una puntata di "Quark", forse la regia poteva inventare qualcosa di più.