Il Platz, la più grande baraccopoli d'Europa nella quale si sono trovate a vivere nello stesso momento oltre mille persone di diversa nazionalità, è situata sugli argini del fiume Stura a Torino. Dopo molti anni di incertezza, è adesso avviato un programma di smantellamento di quel dedalo di legno, di lamiere e baracche. Si avvia un nuovo futuro...  Si comincia con una macchina a mano che pedina un bambino per un lungo tratto, senza mollarlo un attimo e passando in mezzo ad oggetti i più vari, che compongono un percorso accidentato e disordinatissimo. Da dove è cominciato quel sentiero, e dove è destinato a concludersi è forse una riflessione 'fuori' campo che allarga a dismisura lo spazio e getta sulla quella 'camminata' una luce di indecisa rassegnazione. Lo stesso bambino nel finale passa di nuovo lungo quei sentieri, e spiazza ogni residua componente emozionale. Nel frattempo i rumeni in maggioranza presenti al Platz si sono adattati all'idea di uno sgombero forzato e anomalo, isole lontane in attesa di ricominciare una nuova esistenza. Dopo lo straziato e crudele reportage alla base di Sette opere di misericordia (2011), i De Serio compiono una scelta che rinuncia ad un'idea di "racconto" a favore di uno sguardo freddo e secco sulla realtà. I due registi osservano, seguono, lasciano indizi della loro voglia di essere 'estranei' e insieme 'presenti': del resto il loro cinema non è mai fine a se stesso e anche quando sembra che si limiti a recepire, cambia l'attenzione e converge su elementi, cose, persone che sembravano appartenere ad altro. L'obiettivo si sposta solo in apparenza, al dunque i due mettono in atto un dispositivo linguistico per cui il recepire significa guardare e riflettere, senza giudicare. E in questo confermano una originalità che è forse ostile per lo spettatore ma aiuta a verificare con esattezza il dolore del 'vero' e insieme la mancanza di una soluzione immediata.