I più grandi di tutti in un piccolo film. Dopo L'estate del mio primo bacio, continua a battere le vie della commedia Carlo Virzì, portando in Concorso a Torino l'opera seconda I più grandi di tutti, che arriverà in sala con Eagle Pictures.
Progetto nato – dice il fratello di Paolo Virzì – per dare al rock non un rockumentary, bensì la finzionale commedia che si merita, tagliata sull'exemplum di Blues Brothers, Commitments e Almost Famous. Giganti sulle cui spalle faticosamente salire, ma I più grandi di tutti è un prodotto medio, meglio di altre commedie italiane e peggio di tante altre commedie in tema.
Nelle note di regia, Virzì cita Voltaire: “Tutto ciò che è troppo stupido per essere detto viene cantato”. Oppure, filmato: sono bamboccioni rock ma lenti, per dirla con Celentano, i quattro protagonisti, che 15 anni prima vissero una breve stagione di pseudo-successo nella band rock-demenziale Pluto: Alessandro Roja, che ora tiene famiglia ma non lavoro; Marco Cocci, il “maledetto” e sciupafemmine (Marco, basta!), ma col sorriso; Claudia Pandolfi, che si è ripulita grazie al fidanzato bene, e Dario Kappa Cappanera, il più talentuoso però finito in fabbrica. L'occasione per la reunion viene da un critico, Corrado Fortuna, giovane, ricco, paraplegico e perdutamente innamorato dei Pluto, cui ha sacrificato ragazza e gambe: vorrebbe intervistarli, rilanciarli, eccetera. E, tutto sommato, ce la farà.
Ma il film ce la fa? Gli accordi – si bemolle?  – della storia passano in rassegna il rapporto padre-figlio e la precarietà con Roja, l'alienazione con Cappanera, il rifarsi una verginità con la Pandolfi, la disabilità con Fortuna, segreti e bugie dello showbiz col finale concerto a Cinecittà e… Cocci con Cocci. Tutti in punta di penna, due o tre righe di sceneggiatura ciascuno, perché la commedia non concede di più: sarà vero? Non ci si sporca le mani di realtà, non si arriva al dramedy, ma, per fortuna, c'è ironia, surreali ammiccamenti e quella leggerezza che non guasta, ma guai a chiedere di più: gli attori funzionano, la regia fa il suo compitino, stop.
Ma l'assolo – vedi i temi sopra – non manda in frantumi la boccia di vetro in cui sguazzano le nostre commedie. Virzì sa che esiste il mare là fuori: perché non farci una bella nuotata? Si ritroverebbe in missione per conto di Dio. O, almeno, del nostro cinema.