Iraq, anni '80. Dopo aver conseguito a Roma la laurea in medicina, Najla (Morjana Alaoui), torna a Kirkuk alla ricerca del fidanzato Sherko (Ertem Eser), un giovane idealista curdo che, di fronte alle sofferenze del suo popolo, si è dato alla macchia entrando tra le file della resistenza anti-Saddam. Nonostante sia sunnita, Najla farà di tutto per aiutare il ragazzo, mettendosi contro la famiglia di origine, il figlio di un generale che vorrebbe sposarla, e i servizi segreti iracheni. Ma il suo coraggio non basterà a salvarla...
Dai Fiori di Miral ai Fiori di Kirkuk il giardino è donna. Dopo Schnabel, anche il curdo Fariborz Kamkari vira in rosa la questione mediorientale e, dal cilindro della storia (la vicenda di Najla è vera), tira fuori un'altra eroina con gli attributi, capace di sfidare sciagure e retaggi di un potere belluino e stolto. Come la Rula Jebreal di Schnabel anche la Najla di Kamkari trascende il personaggio storico per ergersi a figura esemplare: insofferente al fondamentalismo del maschio, istruita, scaltra e affascinante, dalla parte degli oppressi, metterà in crisi la macchina persecutoria del regime finendone sopraffatta e vincente, martire e santino buono per la retorica paritaria e democratica del nuovo Medioriente. Perciò il dispositivo estetico e narrativo di Kamkari non ammette contradditorio, sfiora il manicheismo, sceglie la trasparenza del racconto: la posta in palio è il reale, non il cinema, e lo sguardo si riappropria del passato senza ambiguità, pensando già alla forma socio- culturale di un avvenire in costruzione, l'Iraq di domani.
Sia Schnabel che Kamkari tradiscono forse un approccio troppo occidentalizzante (il regista de I fiori di Kurkuk è curdo di nascita, ma italiano di adozione), ma la chiave del gender si conferma la più promettente - perchè interna e coessenziale al sistema che vuole smantellare - nella critica alle forme imbalsamate di potere e alle culture della discriminazione. Se i bisogni della storia incontreranno le utopie del cinema sarà anche la più efficace.