E’ finita. Dopo aver incassato 2,2 miliardi di dollari al box office, il franchise Hunger Games volge al termine con Il canto della rivolta – Parte 2, diretto ancora - è il terzo film - da Francis Lawrence, uno che - ricordiamolo - ha in cantiere chicche quali Constantine e Come l'acqua per gli elefanti.

Non è un chiudere in bellezza, purtroppo: l’ultimo capitolo si trascina stancamente per 136’, senza colpo ferire, senza un brivido, un battito, un palpito, eccetto qualche sequenza pirotecnica.

Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) va in archivio con la palpebra, la nostra, calante: si trattava di liberare Panem, ma la resa dei conti è soporifera, permeabile alla noia, licenziabile – alla luce dell’epilogo formato famiglia - in “much ado about nothing”. No, non la rimpiangeremo Katniss, non questa almeno: dei quattro capitoli è forse il più deludente, se la gioca con il precedente, dimostrando che la decisione di “splittare” in due film il terzo tomo della trilogia di Suzanne Collins è peccato di avidità da censurare. Per ora, lo espiamo noi.

Insieme agli amichetti Gale (Liam Hemsworth) e “l’ibrido” Peeta (Josh Hutcherson) – un bacino lo meritano entrambi, Katniss bacia tutti come Viola… - la Ghiandaia Imitatrice va all’attacco con un unico obiettivo, eliminare il Presidente Snow (Donald Sutherland), il despota di Panem ora disponibile per il grande pubblico con l’epistassi (se proprio deve morire, che sia già spacciato, terminale).

Variamente palliative le presenze di Woody Harrelson, Julianne Moore, Elizabeth Banks, Philip Seymour Hoffman (triste rivederlo così per l’ultima volta sul grande schermo) e Stanley “Una posa una” Tucci, la Rivolta si barcamena poeticamente tra la gita di Liberazione e uno spin-off poco magico di “Harry Potter meets Lo Hobbit”, per la presenza di mostri e mostriciattoli un po’ scopiazzati.

La prima a sembrare indifferente, se non avulsa, dalla lotta è proprio Jennifer Lawrence, sebbene questa saga l’abbia resa superstar. Poco importa, tutto è bene quel che finisce. Male.