Potenza d'attore, impotenza di film. Hesher è stato qui sta in questa terra di mezzo: altrove timido (500 giorni insieme) e sotto le righe (50/50), il protagonista Joseph Gordon-Levitt si diverte un mondo nei panni di un freak fuori controllo, vulcanico e iroso, misfit e volgare, ma l'opera prima di Spencer Susser concede troppa briglia sciolta alle sue trasgressioni, eruzioni e quant'altro, finendo al tappeto poetico e drammaturgico.
Hesher è un metallaro duro e impuro, capellone e tatuato (dito medio alzato sulla schiena, un uomo che si fa saltare le cervella sul petto), porno-addicted e fumato. Eppure, non tutto il poco di buono vien per nuocere: occupa il garage di una casetta a San Fernando Valley, e aiuta il piccolo T.J. (Devin Brochu) mal assistito da nonno e padre vegetale a elaborare il lutto della madre appena morta.
Sull'ennesima scorta del Boudu salvato dalle acque di Jean Renoir (1932), dunque, il film racconta una carità intrusa e inaspettata, ma senza mettere in sordina eccessi e scurrilità, anzi, esaltandole a più non posso: Hesher insegna a nonnino come si fuma il bong, Hesher insegna a T.J. i segreti del sesso, gli sceneggiatori Susser e David Michod (soggetto di Brian Charles Frank) non insegnano a Hesher come si stia al proprio posto.
Tra spirito indie (22 i produttori coinvolti, tra cui Natalie Portman, in cammeo esteso) e occhiolini al teen spirit, Hesher non riesce a staccarsi dal freak show, dall'apologia del loser di insperato successo nel “farsi prossimo”. Oltre il finale volemose bene, spunta la certezza: Hesher è stato qui, e s'è pappato il film.
PS: non così eclatante come la “sparizione” del Ryan Gosling di Drive o della Tilda Swinton di ...E ora parliamo di Kevin, ma pure l'esclusione di Gordon-Levitt dalla cinquina degli Oscar pesa. Non poco.