L’horror indipendente, quello capace di entrare sotto la pelle del pubblico invece di farlo semplicemente saltare sulla poltrona, sembra essere tornato a lavorare sull’elemento fondamentale del genere: la psicologia dello spettatore stesso.

Negli ultimi tempi lo hanno confermato piccoli gioielli di genere come The Witch, Scappa - Get Out e adesso Hereditary di Ari Aster, il quale mette in scena la personalità fragilissima di Annie, donna traumatizzata dal difficilissimo rapporto con la madre; la donna, appena deceduta, le ha lasciato oscuri manoscritti e soprattutto una nube nera di misteri.

La prima parte del film, dedicata alla costruzione dei personaggi che compongono la famiglia e dei loro rapporti conflittuali, si rivela estremamente precisa ed efficace nello sviluppo delle atmosfere.

L’angoscia e il senso di pericolo scandiscono la progressione narrativa di Hereditary lavorando su schemi già esplorati ma riproposti con una visione a tratti vibrante. Come spesso accade in questo tipo di storie la sceneggiatura e la messa in scena preferiscono insinuare il dubbio: l’orrore è frutto della mente senza controllo della protagonista oppure qualcosa di orribile sta veramente per accadere?

Aster riesce a controllare il ritmo del racconto per prolungare il più possibile tale incertezza, in un crescendo drammatico di enorme impatto che conduce a una parte finale genuinamente spaventosa, con almeno un paio di momenti destinati (almeno per chi scrive...) a essere ricordati tra i più terrificanti dell’anno.

Toni Collette - candidata all’Oscar per un altro cult del genere come Il sesto senso - è l’anima dolorosa e inquietante di Hereditary, perfetta in un ruolo pulsante e sempre in bilico tra isteria e naturalezza.

Accanto a lei meritano segnalazione anche le prove maiuscole dei giovani Alex Wolff e Milly Shapiro. Sono i tre attori a fare di Hereditary un prodotto a tratti agghiacciante, rendendolo uno dei titoli di genere più riusciti dell’ultimo periodo.