Quello che non dovrebbe mai mancare a un film "a puntate" è un elemento fondamentale: la suspense, possibilmente in crescendo di episodio in episodio. Ad alimentare la curiosità dello spettatore e a spingerlo a tornare in sala anche a distanza di un anno da un capitolo all'altro è la voglia di sapere come andrà a finire. Tutto questo per la saga ispirata ai romanzi di J.K. Rowling sarà possibile soltanto fra un bel po' di tempo. Con Harry Potter e il calice di fuoco di Mike Newell siamo ancora al quarto di una serie di sette film. Impeccabile e affascinante a livello scenografico (molto più dei precedenti), con galeoni che emergono dal mare, carrozze trainate da cavalli alati, draghi sputa-fuoco e labirinti carnivori, è anche il più cupo e quello meglio strutturato narrativamente. Ma è proprio la mancanza di suspense il suo maggior difetto. Newell cede al fascino del fiabesco a detrimento della storia e le situazioni proposte somigliano un po' a quelle di sempre: partite di quiddich, lezioni con insegnanti severi o strampalati, battibecchi con compagni invidiosi. Mentre le due vere novità di questo capitolo, Harry Potter innamorato e la reincarnazione del malvagio Voldemort (Ralph Fiennes), passano quasi sottosilenzio. Soprattutto il tanto atteso incontro-scontro tra il giovane mago e il suo eterno nemico, che si riduce ad un manciata di minuti nel finale è incapace di regalare grandi emozioni, se non ai più piccoli.