Ritratto in prima persona di un individuo affetto da schizofrenia, Hans Schabe, seguito dall'infanzia all'età adulta. Travasando nel tessuto drammaturgico le teorie freudiane sull'isteria, il giovane regista Louis Nero utilizza un linguaggio filmico para-sperimentale - in cui la dissolvenza incrociata assurge a chiave di volta stilistica - per stigmatizzare la persistenza del razzismo nella nostra società e il colpevole fuoricampo che il cinema contemporaneo gli riserva. La malattia di Hans regredisce fino a catalizzare le paure collettive: la fobia per la proliferazione dei rifiuti si intreccia nel giovane all'odio razziale per i neri. Questi tramerebbero per fargli ingurgitare tutti i rifiuti che si stanno accumulando. Un'associazione distorta che porta Hans a picchiare e stuprare due neri: il suo livore razzista è condiviso dai detentori del potere giudiziario, i quali tuttavia, ritenendolo ancora affetto da turbe psichiche, lo fanno rinchiudere in manicomio per la seconda volta. La dimensione borderline della storia infetta il racconto, conducendo il film nei territori dell'assurdo: un tentativo coraggioso, ma affossato da una sceneggiatura improvvisata e da una recitazione traballante. Il j'accuse sul razzismo sostenuto attraverso l'anti-eroe Hans risulta infine sterile e convulso, soffocato da una drammaturgia schizoide e da un ancoraggio al genere psico-thriller malfermo.