Bellezza disperata e inelegante, Marlène (Marion Cotillard) è una donna senza prospettive. Una figlia di otto anni, Elli (Ayline Aksoy-Etaix), avuta chissà da chi, e il tentativo di ricominciare daccapo con un matrimonio che neanche ha il tempo di iniziare, visto che il novello sposo la coglie tra le braccia di un altro proprio durante i festeggiamenti delle nozze.

Ma il meglio ancora deve venire: dopo una notte in discoteca (con ragazzina al seguito), Marlène mette la figlia su un taxi e se ne va con un uomo (Stefano Cassetti) conosciuto quella sera. Da quel momento, Elli, otto anni, è sola.

È un film che vive di lampi belli e inattesi (su tutti, lo sguardo-specchio in cui la Cotillard vede la figlia ballare come una donna in discoteca), l’opera prima di Vanessa Filho, in Un Certain Regard al Festival di Cannes. Ma che, allo stesso tempo, finisce per prendere una deriva progressivamente prevedibile e ricattatoria.

Giocato dapprima sull’alterazione dei ruoli, dove di fatto è la bambina a doversi prendere cura della madre, si concentra poi sull’inevitabile emulazione da parte della ragazzina nei confronti della madre. E allora eccola indossare i vestiti più grandi di lei, truccarsi, attaccarsi a qualsiasi bottiglia, birra, vino o whisky non fa differenza.

Va da sé che, al netto di uno stile forte e riconoscibile (dove la saturazione cromatica si contrappone ad un vuoto esistenziale drammatico), la regista esordiente non riesce allo stesso tempo a trattenere le fila narrative ed emotive del racconto.

E allora ecco che Elli decide di scegliere un padre a caso tra la folla (Alban Lenoir), che le scene-madri si moltiplicano e che il film finisca per buttarsi da una rupe. Nel vero senso della parola.