Dopo il premio speciale della Giuria a Venezia nel 2006 con Daratt – La stagione del perdono e la Croisette calcata con Un homme qui crie nel 2010, il regista chadiano Mahamat-Saleh Haroun porta in concorso a Cannes 66 Grigris. Il nome viene da un amuleto voodoo portafortuna e anti-malocchio, ma è pure quello del 25enne protagonista (Soulémane Deme, bravo davvero), che nonostante una gamba paralizzata vorrebbe diventare un ballerino professionista. Per ora, aiuta il patrigno tra taglia e cuci e fotografia, mentre la sera si esibisce in un locale, dove si fa notare dalla bella Mimi (Anais Monory), prostituta e wannabe modella. Quando il patrigno s'ammala gravemente, Grigris deve rimettere il sogno danzereccio  nel cassetto: per provvedere alle spese mediche, decide di lavorare per i contrabbandieri di petrolio, prima trasportando a nuoto dei barili, poi alla guida di un auto... Ma quello che considera a tutti gli effetti suo padre peggiora, Grigris ha bisogno di soldi e cerca di truffare i contrabbandieri: la sua vita e quella di Mimi sono in serio pericolo...
Visione consigliabile ai cinefili terzomondisti duri e puri, Grigris è neorealismo chadiano all'ennesima potenza: Haroun crede ancora alle Storie, e si limita a raccontare con genuina naiveté, semplicità alla mano e il correlato edificante. Due reietti, lo storpio e la prostituta, contro la criminalità in nome della famiglia e dell'amore: toni saturi e notti calde, balli, botte e tenerezze poetiche, un campionario artigianale, illustrato dal regista senza tirare sul prezzo, anzi. Alla fine arriva la catarsi, brandita con ironia dalle donne del villaggio: sursum corda, in alto bastoni, il potere è femmina, campagna e collettività. In quanto al film, prendere o lasciare: Haroun è il semplice del villaggio di Cannes 66.