Con il contributo tedesco il già tiepido concorso di questa Berlinale raggiunge un apice: di comicità involontaria. I giornalisti in sala hanno trattenuto a stento il riso. E sì che nelle intenzioni la pellicola dell'altrimenti bravo Thomas Arslan doveva essere un Western serio. A salvarlo non riesce, perché non può, neanche la bravissima Nina Hoss. È suo l'unico volto rimasto impresso della passata edizione della Berlinale nell'ottimo Barbara (Premio alla Regia) che raccontava la storia dell'orgogliosa dottoressa sui ruvidi sfondi della Germania Est. Ma non basta mettere la pioniera Nina Hoss su un cavallo per dare credibilità a un film scarso e grigiastro. Se il film di Arslans doveva fare giustizia a Barbara,  per l'Orso scippato, il piano è fallito. Gold vuole proprio essere un Western. Su un gruppo di sette emigranti tedeschi alla conquista dell'oro nel Kolondike, Canada 1898. L'epopea della frontiera per fuggire la miseria collettiva. Se non fosse che qui c'è posto per ogni cliché immaginabile. L'indiano furbo, la trappola per orsi, il vecchio alla veranda. In realtà un'idea interessante quella del Western da prospettiva tedesca. Inoltre, Thomas Arslan è uno dei cineasti migliore della ‘Scuola Berlinese', quel gruppo di registi e autori famosi per la precisione di ghiaccio e chirurgia emozionale con cui fanno a pezzi e ricuciono l'anima tedesca. Berliner Schule e Western sono eccellenti capitoli di cinema. Ma che restino separati.