Al di là di tutto, Gli anni amari ha il merito di rimettere al centro dell’attenzione Mario Mieli, tanto determinante per la storia italiana quanto oggi poco ricordato. Nel rimetterne in scena la turbolenta esistenza, va da sé che Andrea Adriatico tratteggia anche un bignami storico del movimento omosessuale nel nostro Paese (cosa rara per il cinema italiano), di cui Mieli fu tra i pionieri.

Con un avvicinamento alla materia biografico un po’ troppo agiografico, Gli anni amari ne restituisce cronologicamente vita e opere. E cerca di trovare nella linearità narrativa una chiave per trasmettere la complessità del soggetto.

Dell’autore di Elementi di critica omosessuale, interpretato da Nicola Di Benedetto (acerbo), Adriatico – che ha scritto il film con Grazia Verasani e Stefano Casi (presenti in due cammei) – racconta il periodo compreso tra il 1969 e il 1983. Quando, da rampollo ribelle di una famiglia di industriali ebrei, Mieli si afferma come attivista, teorico, performer, scrittore, rivoluzionario.

Scopriamo, così, tra pubblico e privato, le prime contestazioni tra liceo e famiglia, l’attivismo a Londra, la militanza nel Fuori!,il festival di Re Nudo a Parco Lambro, le partecipazioni televisive. E poi le violenze degli omofobi, gli amori tormentati, i conflitti con il padre e il fratello, il rapporto con la madre (Sandra Ceccarelli, esimia).

GLI ANNI AMARI – secondo da destra Nicola Di Benedetto (Mario Mieli), al centro Anas Arqawi (Shadi)
GLI ANNI AMARI – secondo da destra Nicola Di Benedetto (Mario Mieli), al centro Anas Arqawi (Shadi)
GLI ANNI AMARI – secondo da destra Nicola Di Benedetto (Mario Mieli), al centro Anas Arqawi (Shadi)
GLI ANNI AMARI – secondo da destra Nicola Di Benedetto (Mario Mieli), al centro Anas Arqawi (Shadi)

Non mancano le contraddizioni tipiche di un uomo dalla curiosità vorace (le droghe psichedeliche, la coprofagia) e la passione per l’alchimia e l’esoterismo. Tematiche e suggestioni poi confluite nell’autobiografia Il risveglio dei faraoni, testo di cui la famiglia, all’indomani del suicidio di Mieli, bloccò la pubblicazione per anni.

Mieli è stato un intellettuale che ha sfidato le convenzioni borghesi mettendo in campo il proprio corpo, sia vestendosi da donna per contestare le categorie di genere sia quando è vittima di ricoveri coatti per schizofrenia, subendo cure che in realtà tali non erano.

In fondo, la scelta di seguire le regole del classico biopic (non dissimile da una tipica fiction del servizio pubblico) va incontro all’esigenza di far avvicinare il pubblico a una figura di rottura. Tuttavia, una forma così ortodossa non sembra quella più indicata per accordarsi allo stesso Mieli.

Ci sono alcune soluzioni intriganti, certo, dal design minimalista della dimora dei Mieli alle zie che non parlano mai. E non si può non apprezzare il Banco del Mutuo Soccorso in colonna sonora. Ma, oltre all’interesse verso una storia così importante, c’è poco altro.