I film passati sino ad oggi in concorso ci hanno abituato a lotte fratricide, infelicità diffusa, amori impossibili, solitudine universale. Eppure non eravamo preparati a ciò che Bruno Dumont, Gran premio della Giuria a Cannes nel 1999 con il controverso L'Humanité, ha condensato in Flandres. Cineasta che ha fatto del naturalismo la chiave per catturare la realtà, anche in questa opera tiene fede alla scelta e spinge lo spettatore a un viaggio nel territorio che meglio conosce: l'animo umano. I giovani protagonisti sono uomini e donne senza qualità, che riconoscono gli istinti primari come unica guida alle loro azioni: fanno l'amore con brutalità, sono sordi ai bisogni degli altri, ubbidiscono alle leggi basiche di sopravvivenza. Uomini e donne che combattono contro se stessi e contro gli altri una guerra destinata a non lasciare che morti. Un conflitto epocale, per quanto interiore, che improvvisamente si materializza in veri combattimenti allorquando il giovane agricoltore Demester si arruola nella legione straniera e si ritrova al fronte insieme ad altri amici che come lui abitano le Fiandre povere e battute dal vento. Non sappiamo in quale paese approdino, sicuramente si tratta di uno spazio mentale e metaforico più che reale, ma cio che conta è che mai al cinema avevamo visto mostrare con tale realismo come la guerra non possa che generare estrema e insensata violenza. Sopravvive chi accondiscende a seguire fino in fondo gli istinti bestiali e riuscendo come una bestia a trovare la via di fuga e la salvezza. Tocca a Demester, che torna a casa dopo che tutti i compagni sono atrocemente morti ad uno ad uno.  Libero per un momento dal dolore accumulato, sussurra finalmente alla fidanzata "ti amo". Ma è tardi, la luce di quell'umanità che alberga nel cuore dei singoli si è forse spenta per sempre. Film disperato quanto radicale, recitato benissimo da attori non professionisti, Flandres è una radiografia spietata di un inizio secolo segnato da guerre, solitudine e dolore. Un'opera che chiede molto all'emotività dello spettatore, ma che è sorretta dallo sguardo di Dumont che,  per quanto privo di censure, è anche immensamente carico di pudore. Se la giuria di questa 59a edizione è a caccia del titolo che parli dell'oggi e inoltre contenga degli assunti morali universali, potrebbe averlo trovato.