La guerra per Clint Eastwood non è una triste sinfonia  dell'anima come per  Terrence Malick de La sottile linea rossa. È una tragedia  più complessa. Un'esperienza  della quale  uomini/soldati non si liberano più. È sangue, orrore, morte. È perdita di se stessi. È  una tragedia della giovinezza: quasi tutti quelli che muoiono sui campi di battaglia  non avranno mai la gioia di diventare prima adulti e poi vecchi. Flags of Our Fathers è per la Seconda Guerra Mondiale, raccontata dal cinema, quello che Gli spietati è per il western. Dissipata la nebbia della leggenda, restano i cadaveri, la crudeltà, la propaganda, l'uso che la politica e le ideologie fanno del mito  dell'eroe e della frontiera. Flags è uno dei migliori film dell'anno e il più raffinato, emotivo, intelligente film moderno sulla guerra che ha spezzato in due parti il Novecento. Ispirato al romanzo di James Bradley (figlio di Johno uno dei protagonisti reali della storia) e Ron Powers, prodotto da Steven Spielberg e dallo stesso Eastwood, il film ricostruisce e decostruisce la sanguinosa ed cruciale battaglia di Iwo  Jima. Conquistare quell'isola era ed è stato il passaggio obbligato per vincere la Guerra del Pacifico. Iwo Jima, su cui erano dislocati 22mila giapponesi, era la stazione di pre-allarme per la terraferma e consentiva alle difese antiaeree nipponiche di colpire facilmente i bombardieri americani. Lo sbarco sull'isola  ha inizio il 19 febbraio 1945 e durante la sanguinosa battaglia, durata più di un mese, morirono 6821 americani e sopravvissero solo 1083 soldati giapponesi. Una carneficina. Le scene dello sbarco e di combattimento, nonostante il coinvolgimento produttivo di Spielberg, non somigliano nella violenza, nella coreografia delle truppe, nel dinamismo grafico e nella regia   a quelle di Salvate il soldato Ryan, le  immagini, con i colori desaturati, hanno la brutalità, l'asciuttezza nefasta delle vere foto d'epoca che sfilano nei titoli di coda del film (leggi l'intera recensione sul numero in edicola della Rivista del Cinematografo).