La prima volta avvenne su un aereo. Poi per un maxidisastro su un'autostrada. Stavolta, a dare il via a tutto, saranno le montagne russe. E, come sempre, coloro i quali riusciranno a scampare la morte, finiranno per esserne fagocitati nel peggior modo possibile. Ritorna nelle mani di James Wong, già regista del primo episodio, la "saga" di Final Destination che - ancora una volta - non deluderà i suoi seguaci: è un meccanismo perverso a veicolare le aspettative dello spettatore consapevole, già conscio del fatto che alla fine moriranno tutti. Il "bello", dal 2000 a questa parte, è come sempre scoprirne il modo. Ad aprire le danze, come sempre, la premonizione che servirà a togliere momentaneamente dalle grinfie dell'oscura signora alcuni malcapitati: pre-vedendo l'imminente incidente sulle montagne russe, Wendy (Mary Elizabeth Winstead) non farà altro che scatenare un incredibile conto alla rovescia, attraverso cui - e nel pieno rispetto di un ordine prestabilito - ognuno dei presenti sui vagoncini del Luna Park andrà incontro alla propria fine. Metterli in guardia, o sperare in un cambiamento della loro sorte, sarà naturalmente inutile. E' nel gioco al disgusto, nella ricerca di spaventevoli e disturbanti situazioni (che non riveliamo per non rovinare il vero senso del film) che Final Destination 3 prosegue nella strada già battuta dai due precedenti, sfiorando il trash volontario quando si tratta di argomentare "le presunte ragioni" per spiegare il perché del tutto, rimanendo comunque un gradino sotto (per originalità e trovate splatter) al più bello dell'intera serie, il secondo capitolo, fatalità l'unico non diretto da James Wong.