Un portuale di Marghera (Fabio Volo), un professore disoccupato (Pierfrancesco Favino), un rivoluzionario radical chic (Giuseppe Battiston) , un'aspirante giornalista televisiva (Claudia Pandolfi)e un fresco ex galeotto (Paolo Sassanelli): delusi dalla vita e trascinati dalla passione antipolitica, decidono di rapire un ministro (Fabrizio Rondolino) - ma finiranno per prendere un povero sottosegretario (Giorgio Tirabassi) - e chiedere un riscatto per risarcire la vedova di una morte bianca.
Sono loro i Figli delle stelle, diretto da Lucio Pellegrini e co-sceneggiato con Francesco Cenni e Michele Pellegrini. Sulle note di Alan Sorrenti (anche doppiato da Irene Grandi), il regista sceglie una commedia sul reale - leggi precarietà, variamente declinata - e ne trova una surreale, affidata ai soliti ignoti dell'antagonismo spontaneistico e comunque fallimentare: se la banda barcolla e infine molla, il film prova a reggersi, aggrappato alla tesi della disaffezione istituzionale e dell'ostilità al Sistema. Ma è proprio qui, in questa aderenza ideologica che si prova sgangherato e indifeso, se non indifendibile: viceversa, quando stacca la macchina dal perseguimento dello scopo “impegnato”, Pellegrini, complici buoni interpreti (eccetto il sovraesposto Favino), si ritrova in balia di una felice anarchia, di un flusso d'incoscienza dagli esiti bonariamente feroci. Su tutti, il mix di ipocrisia e malafede affidato ai montanari, che prima fiancheggiano i sequestratori e poi applaudono il blitz delle forze dell'ordine: pagina nera, strappata alla cronaca, che Pellegrini stampa su pellicola, con merito. Insomma, un tesoretto lo serbano questi Figli delle stelle, basta non farsi abbagliare dalla costellazione poetica - in realtà, tutt'altro che sfavillante - e cercare nei margini, negli interstizi, dove il film “si dimentica” dell'assunto e trova le meteore precipitate dal nostro quotidiano: non tutti i politici sono zozzi, non tutti gli amori hanno lieto fine, non tutte le stelle stanno a guardare.