Spesso passare dietro la macchina da presa significa ragionare su sé stessi, mettere in scena la propria vita filtrandola con l’obiettivo. Il primo film da regista di Viggo Mortensen è forse anche la sua interpretazione più intimista, personale. Falling – Storia di un padre è un ritratto di famiglia in tempesta, un progetto che guarda alla forza delle emozioni, dei sentimenti. Ad accompagnare Mortensen, sono i suoi affetti di sempre. Dedica il film ai fratelli geologi Charles e Walter Mortensen, regala un succoso cameo a David Cronenberg, che lo ha diretto in capolavori come A History of Violence e La promessa dell’assassino, senza dimenticare A Dangerous Method.

Tornano alla mente i ringraziamenti di Gli spietati di Clint Eastwood, che nel crepuscolo del West brillavano di vitalità: a Sergio e Don. Sergio Leone e Don Siegel, i maestri che hanno lanciato la sua stella. Chissà se anche Charles e Walter Mortensen hanno fatto amare il cinema a Viggo Mortensen. Di sicuro il sodalizio con Cronenberg va oltre lo schermo, e la sua apparizione in Falling – Storia di un padre è piena di ironia.

Gli elementi esterni arricchiscono un’opera prima che lavora sull’essere umano. Mortensen nel film è sia padre che figlio, oltre che cineasta. È sposato con Eric, insieme hanno adottato una bambina. Vivono in California, mentre il genitore avanti con l’età abita lontano, e non riesce più a stare da solo. Ha un carattere difficile, per lui non esistono sfumature, ma solo eccessi. È un uomo sgradevole, che utilizza un linguaggio forte e attacca il figlio per la sua omosessualità. A interpretarlo è un Lance Henriksen che ruba la scena.

Mortensen accarezza i suoi personaggi, li fa esplodere all’improvviso, rendendo la vicenda vibrante. Gli scontri/incontri generazionali sono il punto di forza del film. Falling – Storia di un padre è la cronaca di una caduta e di una rinascita, che strizza anche l’occhio agli amanti del western. A un certo punto in televisione viene trasmesso Il fiume rosso di Hawks, e la sequenza è quella della lotta tra John Wayne e Montgomery Clift. Attraverso questo frammento, Mortensen riesce a dare una profondità diversa a Falling. Lo fa dialogare con un classico, la cui epopea in fondo non era così diversa. Anche quello era un duello tra nuove leve e pistoleri più navigati, mandriani malmostosi e giovani cowboy, Wayne era addirittura in versione antieroe.

 

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Mortensen destruttura le dinamiche famigliari, realizza un’anatomia spietata della quotidianità, a volte eccedendo con i virtuosismi. Ma passato e presente sono ben assortiti. Il ricordo si unisce a una dimensione più contemporanea, alla malattia, all’andare degli anni. Spesso si torna indietro nel tempo, è come se esistesse un’altra linea narrativa. Qui scopriamo l’infanzia del protagonista John, e di sua sorella. Ma al centro di tutto c’è sempre il padre, già allora poco amorevole e aggressivo. Si uniscono più tematiche. Con leggerezza e intelligenza, Mortensen affronta anche la violenza dell’omofobia, l’ingiustizia che nasce vicino al focolare. Uno dei momenti migliori è proprio quando i due litigano in California, con le battute di cattivo gusto che infiammano l’animo quieto di John, in un duetto da applausi. Intanto l’esordio di Mortensen convince, ed è la conferma di un talento poliedrico, ormai in grado di padroneggiare più linguaggi.