Fine 2001, Valerie Plame (Naomi Watts) ha una doppia vita: sposa dell'ex ambasciatore in Gabon Joe Wilson (Sean Penn) e madre di due bambini; agente Cia, con plurime missioni sulle spalle contro la proliferazione degli armamenti. Tutto bene, o quasi, finché non viene messa a capo della task force dell'Agenzia sulle famigerate armi di distruzione di massa in Iraq. Coinvolto è anche il marito, che viene mandato in Niger per sincerarsi della vendita di uranio arricchito al regime di Saddam: Joe indaga, e scopre che quel traffico non è mai avvenuto. Ma l'amministrazione Bush ignora le sue conclusioni, non solo, la pistola già puntata sull'Iraq deve fumare presto e la vendetta va consumata calda: un celebre giornalista del Washington Post, Robert Novak, rivela l'identità di Valerie Plame, grazie a una gola profonda, Lewis Libby, molto vicina al vicepresidente Dick Cheney...
Tratto da una storia vera, passata attraverso gli autobiografici The Politics of Truth di Joseph Wilson e Fair Game di Valerie Plame Wilson, è Fair Game di Doug Liman, unico titolo americano in lizza per la Palma d'Oro. Congeniale alla spy-story sin dal buono The Bourne Identity del 2002, già incline a farne un passo doppio, leggi coppia, nel deludente Mr. & Mrs. Smith, Doug Liman ne fa qui sintesi, anche dal punto di vista qualitativo: buoni gli interpreti - meglio la fredda Watts del fumantino Penn, un po' stordito - e il primo piano che il regista gli tiene incollato addosso, e interessante, altroché, la storia, i problemi, viceversa, sono del racconto. Innanzitutto, l'effetto flou su quanto circondi Valerie e Joe è a tratti devastante, come se l'acquario torbido in cui annaspano dovesse emergere solo per contrasto e in scarsissima definizione, non solo il ritmo di questo Game è assai distante da Bourne, la cui frenesia ritorna solo in qualche esplosione, mai nel montaggio, che da serrato, se non parossistico, qui si fa placido e paratattico. Certo, l'eredità del political thriller anni '70 - evocata anche dalla fotografia slavata e da costumi e scenografie che paiono perfino retrodatate... - si fa sentire e qualcosa può spiegare, ma non giustificarlo: l'intimismo da solo non basta, qualche volta ci vuole pure il clangore delle armi, la ferraglia del Sistema. Che Fair Game riduce a sussurro fuoricampo.