Quella di Drive me home prima di tutto è una storia d’amicizia. Protagonisti di questo road movie sono infatti due amici, interpretati da Vinicio Marchioni e Marco D’Amore, che si ritrovano dopo anni di silenzio e incomunicabilità. 

Ma l’opera prima di Simone Catania (classe 1980) mette in campo anche molti altri argomenti: dall’emigrazione alla ricerca delle proprie origini e delle proprie radici fino alla crisi d’identità e all’Europa.

Non sono pochi, dunque, i temi e i vari sottotesti che il regista affronta lungo questo viaggio a due condotto a bordo di un grande camion nero che dal Belgio arriverà fino alla Sicilia, ed è proprio questo il motivo per cui la strada sarà tortuosa non solo per il camionista omosessuale (D’Amore) e il suo vecchio amico (Marchioni), ma (ahimè) per lo stesso regista. 

Di fatto Drive me home troppo volendo, nulla stringe. Ci prova con una fotografia un po’ cupa che spazia dalle aree di sosta dei Paesi Bassi e della Germania fino ai paesaggi e alle valli del Trentino, con le belle e suggestive musiche originali degli Air Kanada, e con i due attori protagonisti non privi di una bella alchimia. Ma tutto questo non basta a non deviare il tir verso territori impervi che non riesce ad attraversare senza cadere nella banalità e nella retorica.

Un viaggio che si conclude infine con una risoluzione che lascia il tempo che trova. Lontani da quel Tir di Alberto Fasulo che mostrava la vita “on the road” del suo protagonista, questo camion vira quindi verso la convenzione, perdendo di vista quello che era il suo fulcro iniziale, ben più interessante: il sentimento di un italiano all’estero. 

Alla ricerca dell’identità anche questo film la perde ed entra in crisi proprio come quell’Europa di cui vuole essere metafora con questo camionista che porta beni da un paese all’altro.