Vecchio Mondo, quello di carta e libri, e Nuovo Mondo, quello di e-book e digitale. In mezzo l’arguzia, le notazioni sottili, il savoir faire fatto cinema di Olivier Assayas, a cui facciamo un complimento in negativo: noi italiani un film come Non-Fiction, ovvero Doubles Vies, non lo sappiamo immaginare, scrivere, recitare, proprio no. Ma non è solo opposizione, per quanto filosoficamente declinata, di libri e bytes, bensì incontro-scontro-scoppio-riaccoppio di uomini e donne, moglie, mariti e manati, legati da battiti, aneliti, rancori, gelosie e, sì, umanità.

Alain (Guillaume Canet, fico da manuale) è editore di raffinato successo, la moglie Selena (Juliette Binoche) attrice prima di teatro e ora fiction, senza troppa gioia; Leonard (Vincent Macaigne, fuoriclasse) è uno scrittore scalcagnato, che mette in pagina le sue storie – spesso clandestine - con donne famose, perfettamente riconoscibili, mentre la moglie Valerie (Nora Hamzawi, super) fa spallucce, ma con la superiorità dei puri. Ci sono nella compagine latori e delatori di contenuto, comunque di sostanza, mentre l’orizzonte è già preda di algoritmi: che fare? Assayas, anche sceneggiatore, non lo sa, introduce un’ammaliante addetta allo sviluppo digitale (Christa Theret) della casa editrice di Alain, ma ci e si appassiona di più all’esito del nuovo libro, Punto finale, di Leonard: dopo l’iniziale rifiuto, Alain lo pubblicherà?

Recitato con una freschezza ammirevole, scritto con tutte le antenne accese al qui e ora (e domani) della cultura e dell’essere intellettuale oggi, Non Fiction è una gioia dialettica, un peana alle passioni, quelle vere, e un inno all’autenticità, meglio, al disvelamento: la salvezza, ci dice l’autore francese, sta nella verità, che è un po’ come affidarla a un miraggio, si capisce.

In Concorso a Venezia 75, con merito e, del cinema italiano, invidia: doppie vite, analogiche e digitali, coniugali ed extra, l’importante è scegliere. L’uno o l’altro o l’uno e l’altro: Assayas non scioglie, noi si gode.