È un film sul nazismo Django, prima che una biografia di Django Reinhardt. Étienne Comar apre il 67° festival di Berlino con un film che prende una vita celebre, quella del più grande chitarrista jazz e uno dei maggiori musicisti di ogni tempo, e la tramuta nel racconto di un altro olocausto, quello del popolo gitano.

Il film racconta infatti il rapporto di Reinhardt con il nazismo, quando rifiutandosi di eseguire un concerto per lo stato maggiore del Reich con Goebbels in prima fila, fu costretto alla fuga con la famiglia: e qui tornarono in primo piano le origini zingare del musicista e la sofferenza del suo popolo durante il dominio di Hitler. Scritto dal regista con Alexis Salatko, Django non è quindi un biopic, ma parte da una porzione della biografia di Reinhardt per realizzare un dramma storico di sentimenti esemplari e urgenze civili e politiche che sembrano dover tornare d’attualità tra trumpismi e varie voglie di muri.

Nonostante questa scelta narrativa, Django nella prima parte sa dipingere un interessante ritratto d’artista, indeciso tra collaborazionismo e ribellione più per egoismo e convenienza che per convinzione politica, in cui prima che il rispetto per la razza umana viene il rispetto per la musica e per ciò che comporta, come dar da mangiare a sé stessi e alla famiglia. Ovviamente la “riconversione” del film porta Comar a rendere queste asperità funzionali al crescendo emotivo fatto di speranze di fuga e tradimenti, ma la chiusura di nuovo sulla musica (il Requiem finale, composto per i fratelli gitani e la cui partitura andò perduta) fa in qualche modo da quadratura del cerchio.

Un film medio, ben fatto, convenzionale e doveroso, con più di una caduta di tono e qualche momento felice, che più che sulle spalle del regista o del bravo protagonista Reda Kateb sembra reggersi su quelle delle sue protagoniste femminili: Cécile De France - l’amante doppiogiochista - e  la rivelazione Palya Bea, cantante folk ungherese e qui perfetta nel ruolo della moglie di Reinhardt. I poli femminili da cui passano perdizione e redenzione. Idea forse antiquata, ma ancestrale e per questo efficace.