L'analisi del male e delle sue conseguenze nei microcosmi è da sempre la cifra stilistica e narrativa del cinema di Atom Egoyan, regista apolide, armeno nato al Cairo e cresciuto in Canada che dalla sua confusione esistenziale ha tratto ispirazione per le sue opere.
Dopo alcuni passaggi a vuoto, tra film non risolti e non riusciti, con Fino a prova contraria Egoyan recupera i tempi e le atmosfere dei suoi momenti migliori. Tratto da una storia vera, Devil's Knot (questo il titolo originale) racconta il dolore di una piccola comunità colpita da una terribile tragedia, l'omicidio rituale di tre bambini a cui fa seguito un'indagine che vuole insabbiare verità ancora più orribili.
La cronaca di quello che viene ancora oggi considerato uno dei casi più controversi della giustizia americana, offre il destro al regista di Exotica per tornare ai temi a lui più cari. La provincia, americana in questo caso, viene dissezionata e scavata, arrivando fino alle origini di un male che fa parte del tessuto sociale e che non risparmia niente. La famiglia, istituzione sacra, viene ancora una volta messa sul banco degli imputati, non con la stessa violenza psicologica di Black Family o de Il dolce domani, ma con una rassegnazione maggiore, una disperazione di cui si fa carico il testimone volontario di una storia che in ogni caso non troverà giustizia, l'avvocato delle cause perse interpretato da un eccellente Colin Firth. La sua solitudine è lo specchio di una società senza più valori, in cui però cerca testardamente un soffio di umanità, quella che la madre di una delle vittime innocente cerca di non abbandonare mai.
Il mondo secondo Egoyan è dominato dalla menzogna e dall'ipocrisia, chi non si uniforma è destinato alla sofferenza e al dolore della memoria e della perdita. Fino a prova contraria è un ottimo esempio di un cinema che ha sempre meno spazio in un panorama che è fasullo e superficiale come la società che mette sul banco degli imputati. E già solo per questo merita di non essere dimenticato.