Tenendo Dante per mano fino all’ultimo respiro, e anche oltre, Pupi Avati cuor gentile regola i conti con il poeta più stimato e adorato attraverso un elogio dell’amore cortese, beatificato e salvifico. Il suo è un biopic di sponda e di riflesso.

C'è il punto di vista di Beatrice Portinari, l'amatissimo bene, con il primo sguardo tra i due, un’imprinting incancellabile, e il flusso emozionale che ne scaturisce. "Ne li occhi porta la mia donna amore", dice Dante nella Vita Nova. C'è il punto di vista di Giovanni Boccaccio, l'autore del Decameron, il più entusiasta dei biografi del Sommo Poeta.

C'è il punto di vista di Firenze, che dopo aver esiliato nel 1302 "il suo figlio più illustre" in quanto guelfo bianco, tenta un tardivo risarcimento. E c'è il punto di vista di Avati, che umanizza Dante, lo fa scendere dal piedistallo e lo rende uno di noi, oltre gli allori e le celebrazioni postume: un'anima delicata travolta da tradimenti e delusioni, ma senza ostacoli di fronte a un progetto, la Divina Commedia, destinato a diventare immortale.

Un uomo lacerato, fedele a un ideale d'amore ultraterreno, un genio profetico e mistico. Avati aggiunge al profilo visioni, interpretazioni, approfondimenti e un décor suggestivo, connettendo con riverenza fasi controverse della vita errabonda che portò Dante all'ultimo approdo a Ravenna.

Come il Guglielmo da Baskerville de Il nome della rosa di Umberto Eco, Boccaccio conduce un'indagine, raccoglie testimonianze, chiede conferme. Compie un viaggio/pellegrinaggio, in quella metà del Trecento che seguì la fine dell'epidemia di peste bubbonica, portando con sé i 10 fiorini d'oro zecchino della Compagnia di Orsanmichele per la figlia del Vate fattasi suora a Ravenna, accanto alla tomba del padre.

E allora, come in una favola rurale, ecco l'amicizia con Guido Cavalcanti, le battaglie antipapiste, Il Dolce Stil Novo, l'ispirazione per i personaggi della Commedia, da Paolo e Francesca al conte Ugolino, fino alla morte, avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 dopo aver convogliato nel suo capolavoro il dolore e "l'emozione del mondo".

Il film, girato tra l'Emilia-Romagna e l'Umbria, si illumina figurativamente, ma scende di tono quando illustra le relazioni interpersonali, scegliendo la strada della descrizione e dell'evocazione. C'è un'assonanza con il cinema medievalista di Ermanno Olmi, mentre affiora il senso della Storia come riassunto e apice delle vite individuali.

Avati conduce in porto un progetto pensato da oltre vent'anni, poi divenuto il libro L'alta fantasia edito da Solferino, e celebra una personale passione attraverso gli occhi ipnotici di Beatrice (Carlotta Gamba), spingendosi anche in territori di crudo realismo che non gli appartengono, ad esempio la scena, un sogno, in cui l'amata desnuda gli mangia il cuore.

Lo fa con un coro d'attori, fedeli e fedelissimi, assai funzionale, in cui spiccano, su versanti opposti, Alessandro Sperduti (Dante) e Sergio Castellitto (Boccaccio). Qualche nome? Enrico Lo Verso, Alessandro Haber, Gianni Cavina, Leopoldo Mastelloni, Erica Blanc, Mariano Rigillo, Cesare Cremonini, Paolo Graziosi, Milena Vukotic.