La regista russa Svetlana Proskurina, con Accesso a distanza, sceglie l'algido clima della sua terra e molti istanti di silenzio, di sguardi opachi, d'attese inutili, di improvvise ribellioni dettate dalla incomunicabilità verbale e dalle aridità familiari. Che tipo di film è il suo, accantonati i possibili paralleli e le debite parentele? Una bella affermazione dello scrittore russo Ivan Bunin, citato come spiegazione emotiva, schiude la porta principale di questo incedere "a distanza", ossia senza coinvolgimento fisico e diretto tra i due giovani protagonisti, verso il loro destino: "Anno dopo anno, giorno dopo giorno, si aspetta segretamente una sola cosa: un amore felice. Si vive davvero nella speranza di un incontro simile, ma tutto è vano'". Tutto è vano: il pessimismo fondamentalista presuppone che questa speranza debba morire travolgendo vite che non "entrano" nella vita. Pretenzioso, perciò, ma interessante nella sua calligrafia ordinata, il film è la storia dell'amore negato, non consumato e non conosciuto di Sergej (reduce da una tragedia per lui eziologia) e Zhenja (frutto dell'equivoco benessere post-sovietico e rivoluzionaria nell'evadere le convenzioni mettendosi a servizio di una chat per soli uomini). Finirà dolorosamente, dopo poche frasi telefoniche. Non evitando, però, nelle pur intense immagini finali, una troppo facile, troppo studiata e meccanica solidarietà tra madre e figlia. Ma è anche bello, finalmente, sperare che questo contatto "ravvicinato" possa diventare la vera svolta dell'esistenza per queste due donne fragili, senza ideali e private del valore più importante della vita, il suo senso.