“Chiudere un capitolo e aprirne un altro: penso sia così che va la vita”. E’ quel che pensa, anzi che accade ad Alexis Valdes, quindicenne cubano talentuoso, una vita dedicata alla danza perché “nato per questo” e giornate che si svolgono al ritmo di chassé e entrechat nella scuola nazionale di balletto di Cuba. Quando la sua famiglia decide di trasferirsi negli Stati Uniti, e per la precisione a Miami in Florida, Alexis, ancora minorenne, sarà costretto a seguirli e a farsi strada nel difficile mondo del balletto americano.

E’ Cuban Dancer, film diretto da Roberto Salinas insieme alla co-autrice Laura Domingo Agüero, presentato fuori concorso ad Alice nella città, storia del figlio di un tassista dei quartieri meno abbienti che diventa una étoile della danza classica. Ma anche storia di un sistema educativo tra i più famosi al mondo (quello cubano) che forse a breve non esisterà più, ma sarà “contaminato” dall’apertura (la famiglia di Alexis emigra proprio quando Obama visita il paese e prima delle elezioni di Trump).

Ben 250 ore di girato avvenute nel giro di cinque anni, fino a quando Alexis non compie diciannove anni, ci regalano questo bel documentario della durata di un’ora e mezza che fa emergere il sentire di un popolo in costante dialettica con la propria identità. Essere cubani vuol dire vivere un conflitto insanabile tra l’amore viscerale per la propria isola e la necessità per molti di doverla abbandonare. E quello di Alexis è un lungo percorso di formazione alla ricerca della propria identità. Ma se è vero che “una persona che vuole ballare può farlo ovunque”, è anche vero che una caratteristica propria dei cubani è quella di non arrendersi mai. E Alexis riuscirà ad affermare la proprio essere: “sono un ballerino cubano”.