Conan is back, il guerriero cimmero è tornato: 20 anni dopo il cult diretto da John Milius, interpretato da Arnold Schwarzenegger e prodotto da Dino De Laurentiis, il barbaro rivive con chioma e pettorali di Jason Momoa, camera di Marcus Nispel (specialista in riesumazioni: Non aprite quella porta e Venerdì 13) e intenzioni degne del mostro norvegese Breivik: “Vivo. Amo. Uccido… Sono soddisfatto”.
Ovvio, scatta il paragone, che non tiene: Schwarzy - avremmo poi scoperto interpretava se stesso… - era (quasi) silente, Momoa straparla, là c'era il nichilismo sciovinista, qui un sessismo fracassone, là c'era desolazione autentica, qui cartapesta in CGI, che manco nei Maciste nazionali...
Eppure, il fascino rimane: non è il 3D (una moda senza riscontri), non è il cast (c'è Ron Perlman, con la sua vera faccia per maschera!) né il passatismo, che guarda al Conan letterario di Robert E. Howard del ‘32 più che all'adattamento del 1982, ma la sana e robusta costituzione di genere fantasy, la voglia matta e pretestuosa di menare le mani, la solidarietà maschile a scapito dell'amore per la Tamara di turno (Rachel Nichols). Nemmeno i problemi di continuità e una seconda parte boccheggiante possono fermarla: la barbarie è qui e ora.