Chemical Hearts è da prendere per i capelli. Finché la co-protagonista li tiene raccolti, al contempo aiutandosi a camminare con una stampella, tiene, poi, sparsa le (non) trecce morbide il film si sdilinquisce, incespica, cade nel trito, nell’amor ch’a nullo amato e ci siamo capiti.

Peccato, perché con la crocchia e per lo più silente, e dunque misteriosa, Lili Reinhart affascina, elude almeno la polpetta che verrà, e rende perfino potabile il suo promesso innamorato, incarnato con mood Ivy League e ascendenze chalametiane da Austin Abrams.

Tocca al paio tradurre la relazione non pericolosa cui il besteseller di Krystal Sutherland, Our Chemical Hearts, ha destinato il diciassettenne Henry Page, che è romantico ma non pratica, e la sopravvissuta ma non fatale Grace Town: si incontrano, e qui sta davvero e unica la nostalgia, al giornalino della scuola (high school), che sono chiamati a dirigere a quattr’occhi. Si innamorano, certo, più lui che lei, perché lei ha delle cicatrici e dei patemi, e ci portano a spasso – si fa per dire – per 93 minuti, sotto la scrittura e la regia di Richard Tanne, già dimenticabile per Southside with You e You Never Left.

L’elaborazione del lutto di Grace è anche quella del nostro sbadiglio, e per lunghi tratti Chemical Hearts anziché catalizzare la reazione chimico-sentimentale si scopre trattatello sul motore a scoppio: auto da parcheggiare sotto casa, bus scolastici da perdere, un road movie in folle.

Troppo pallido e capelluto Austin per impensierire, troppo sciolta, infine, Lili per serbare dubbio, il teen-movie mette insieme i cocci e rompe gli indugi: si salvano le musiche, composte da Stephen James Taylor, e qualche anelito qui e là, ma – lo sappiamo, ciascuno di noi – l’amore è altra cosa, e anche il cinema dovrebbe esserlo.

Per il resto, chiedete a David Foster Wallace alla voce La ragazza dai capelli strani: anche meno, anche solo raccolti, qui basterebbe. E salverebbe.