"Gli aborigeni che abitano nelle loro terre ancestrali vivono 10 anni di più rispetto a chi sta nelle comunità di reinsediamento". E' solamente uno dei dati presentati dal rapporto "Il progresso può uccidere - Survival International", condotto su tutte le popolazioni indigene del mondo. Se ne sta accorgendo anche Charlie, aborigeno che ormai da anni vive in una sorta di "riserva" che le autorità australiane hanno creato per la sua popolazione nel nord del paese: scisso tra due modi di vivere, due culture, Charlie - che un tempo cacciava per vivere - decide di tornare "a casa". Di riappropriarsi della propria terra. Ma non sarà facile.
Rolf de Heer torna in Un Certain Regard otto anni dopo Dieci canoe (che gli valse il premio speciale della giuria) e dirige nuovamente David Gulpilil dopo il leggendario The Tracker (2002): olandese naturalizzato australiano, de Heer ci porta ancora una volta a riflettere sui danni compiuti dalla "civiltà occidentale" nei confronti delle popolazioni native. Il registro di Charlie's Country, però, soprattutto per la prima metà del film, ragiona sulla questione in modo brillante, senza disdegnare momenti di sano umorismo (su tutti, il protagonista che prima conduce due bracconieri in un luogo sicuro e, subito dopo, aiuta i poliziotti a trovarli fingendo chissà quali doti di fiuto ancestrale nel saper "leggere" le tracce sul terreno...), affiancando a Gulpilil altri attori aborigeni (come Peter Djigirr) capaci di tenere la scena in maniera strepitosa.
Poi basta uno sguardo, un minimo accadimento, ed ecco che la "questione Charlie" diventa simbolo di un intero popolo. Al quale, per sopravvivere, viene concesso di abitare la propria terra, nei limiti di un "rispetto" (per dirne una, è proibito bere alcol entro i confini della comunità) che molto spesso somiglia alle gabbie di uno zoo. Ma Charlie è un cacciatore (mentre ora vive accampato sì, ma poi fa la spesa al supermarket...), non ci sta. E tenta di ritrovare il sentiero verso "casa". Il fisico è debilitato però, la resistenza non più quella di una volta.
Salvato dall'amico, viene ricoverato. Anche in ospedale dura poco. Se ne va. E a Darwin tenta la convivenza con altri aborigeni che vivono ai margini della città. L'abbrutimento, l'alcol eccessivo, finirà per aggredire un poliziotto. Ancora gabbie. La salvezza, suggerisce de Heer, è forse il compromesso: evitare che le tradizioni vengano sepolte dall'oblio, tramandarle alle nuove generazioni, seppure in quello che può sembrare il recinto di una "comunità controllata". Perché Charlie, giovanissimo, danzò per la Regina Elisabetta all'inaugurazione dell'Opera House di Sydney. E una foto non basterà ai suoi simili per ricordarlo. Serve la parola, e con essa la rappresentazione di quel ballo. Che appartiene a loro, e alla terra che ancora provano ad abitare.