Nella periferia del Maine, la mite Carrie White passa le sue giornate succube della madre fanatica religiosa, finché non si accorgerà di possedere terrificanti poteri telecinetici.Dopo De Palma nel '76, ad adattare l'omonimo romanzo di King ci prova Kimberly Peirce: ma per quanto la triade creativa (una donna in regia e due in scena) facesse ben sperare, e il moloch depalmiano fosse un'opera impressa nell'immaginario collettivo, il risultato è sconfortante. La Pierce confina le derive horror all'inizio e alla fine - dove la furia di Carrie non deluderà i fan- tentando di gettare luce nelle pieghe più nascoste e oscure della finta provincia americana, ma il suo Carrie sembra un teen movie perennemente indeciso. Perché la regia è senza brio e non ha ritmo, le sequenze di raccordo sembrano raffazzonate e manca del tutto una guida, e il film sbanda ad ogni svolta senza sapere se imitare il suo predecessore (come fa nei cromatismi di casa White) o allontanarsene.Certo, il lavoro di ammodernamento è buono e il finale non è male, con una Moretz animata da verve luciferina da perfetta riot girl. Ma il risultato finale non spaventa né inquieta bensì, proprio come lo sguardo di una spaesata Julianne Moore, annoia