Il 19 agosto 1978 il cinema Rex di Abadan, in Iran, venne dato alle fiamme. Doveva essere un atto dimostrativo (molte altre sale vennero incendiate in quel periodo), con il quale i fondamentalisti volevano esprimere il proprio segno di protesta contro la cultura occidentale. Nel caso del Rex, però, che in quel momento proiettava The Deer di di Masoud Kimiai, morirono più di 400 persone, rimaste intrappolate nella sala.

Shahram Mokri (nato 2 giorni prima della tragedia del Rex) torna a Venezia – sempre in Orizzonti – sette anni dopo Fish & Cat con Careless Crime, seducente, inquietante, contorto film nel film (nel film) che, a 40 anni da quegli avvenimenti, ipotizza il ripetersi di un simile scenario.

Careless Crime
Careless Crime
Careless Crime
Careless Crime

Nell’Iran dei nostri giorni, infatti, quattro individui decidono a loro volta di dar fuoco a un cinema. Il loro obiettivo è una sala in cui si proietta un film su un missile dissotterrato e inesploso, Careless Crime appunto, Il crimine impreciso.

Procedendo senza soluzione di continuità su più livelli narrativi, Mokri è bravo a imbastire dapprima uno scenario di angosciante premessa, con un uomo in cerca di un medicinale che sedi i suoi istinti piromani: quel girovagare contrappuntato dalle musica martellante e tetra di Ehsan Sedigh – che lo porta anche all’interno del Museo del Cinema, ad incontrare due donne gemelle (?), a percorrere il buio pieno di misteriosi corridoi sotterranei – resta forse la cosa più riuscita dell’intero film, recuperata in parte verso il finale con quell’allegoria sospesa di un fuoco appiccato sì, ma ancora innocuo.

Careless Crime
Careless Crime
Careless Crime
Careless Crime

Nel mezzo, il continuo andirivieni tra il racconto principale e gli spezzoni dell’altro film (dove troviamo Babak Karimi nei panni di un ufficiale, che finirà per incontrare due ragazze che ogni anno, sui monti, organizzano una proiezione di The Deer...) tendono alla lunga a spostare l’attenzione dal cuore della vicenda, che sì, naturalmnte, vuole essere simbolo di un cinema che riflette su stesso, ancor prima che rievocare i fatti della Storia, ma che finisce per sottrarre la forza, l’impeto dell’intero discorso.

Anche perché non mancano le infinite, apparentemente superflue digressioni con cui accompagnare l’ingresso in scena di tutta una serie di personaggi secondari, che restituiscono di volta in volta un nuovo punto di vista – anche da un’angolazione temporale – sul tutto.

La ciclicità del cinema, insomma, che in Careless Crime trova una sponda discreta ma con qualche punto instabile.