Buona giornata? Se l'ironia non fosse questa sconosciuta, sarebbe un titolo azzeccato. Invece no, e - film negli occhi - pare uno scherzo tanto crudele, quanto involontario. Perché il 53° film di Carlo Vanzina, sceneggiato al solito col fratello Enrico, è indifendibile: un'accozzaglia di interpreti altisonanti per una sinfonia intenzionalmente comica, effettivamente triste.
Sono 24 ore di quell'”Italia buffa, che non finisce sui giornali”, scorse per episodi, “cullate” (una nenia, altro che l'exemplum del caro papà dei Vanzina, Steno) dalla voce over e affidate a un manipolo di uomini e donne più o meno comuni, comunque tutti senza qualità (Musil non c'entra): un evasore incallito (Maurizio Mattioli, volgare e poco più), un senatore (Lino Banfi, annata '70-'80…) che fa votare i morti per non finire in galera, un notaio napoletano (Vincenzo Salemme, ai minimi sindacali), un tifoso viola (Paolo Conticini, non recapitato), una manager meneghina d'adozione (Teresa Mannino: non era una comica? Beh, non fa ridere)  e un principe romano decaduto (Christian De Sica, ipse dixit, “fisico da cavallo padronale con le pezze al c..o”, ovvero la solita solfa).
A salvarsi, parzialmente, è solo Diego Abatantuono, che scrive il proprio episodio, “Orecchiette alla milanese”, e porta la domotica nella Puglia profonda, offrendo gustosi siparietti con i villici ignari e ignoranti. Qualche battuta va anche a segno, d'altronde la vis comica degli interpreti - nessuno in gran forma - non si discute, ma Buona giornata pretende di raccontare l'Italia altra, ma si risolve nel canzonare un'altra Italia, ovvero la Penisola che non c'è. Come? Nessun contatto con il pianeta tricolore, viceversa, gag trite, “piano bar” desueti e trivialità orfane dei peggiori anni  '80 buoni solo per un allunaggio. Ma, cantava Fiordaliso, non voglio mica la luna: qualcuno la fa sentire ai Vanzina? Grazie.