PRO - Struggente poema feticista ****

Si intuisce perchè Bright Star sia piaciuto tanto a Tarantino. Il nuovo film di Jane Campion - che rievoca la storia d'amore tra il poeta romantico John Keats e la vicina di casa Fanny Brawne - è uno struggente poema feticista, nel senso religioso (e originario) del termine. C'è qualcosa di sacro nel delicato erotismo che sprigiona ogni immagine, nel gesto appenna accennato, nell'intreccio di mani, nel filo che affonda e riemerge in un amplesso di stoffe, tra l'ordito e la trama, il campo e controcampo, maschile e femminile. Sinuosa la macchina da presa della regista neozelandese si muove sulle soglie, percorrendo l'armonia di esterni e interni, corpi e anime. Lo spazio non è il mondo storico (perciò lo sfondo socioculturale dell'epoca vittoriana è "oscurato"), ma il sogno dove si perdono i confini tra realtà e fantasmagoria, verità e incanto. La sua metafora è lo specchio, che in Bright Star non è figura del doppio ma epifania di una totalità, dell'immateriale-materiale o viceversa.

Se ogni parola di Keats era capace di farsi immagine carnale, le immagini della Campion sfiorano la purezza delle parole. Perciò il suo è un film di poesia, non sulla poesia. E più che sullo sguardo, lavora sul tatto e il suono che una messa in scena sensuale e acusmatica può evocare. Giova ovviamente la straordinaria fisicità dei due attori protagonisti - il fragilissimo Ben Whishaw e l'intensa Abbie Cornish - e la "pittura" fotografica di Greig Fraser.

Operazione che non sarà al passo coi tempi, visti i tempi di amori frivoli e passioni animali. Ma sottilmente moderna nella misura in cui condivide col cinema digitale di questi anni la ricerca di una sensorialità tutta nuova nell'esperienza della visione, legata meno all'occhio che agli altri sensi. In nome di cosa? Di una bellezza che la Campion non vorrebbe fosse più esibita, ma percepita, vissuta. Che abbia girato il suo primo film politico? (Gianluca Arnone)

CONTRO -  Sterile parafrasi **

Londra, 1818: il 23enne John Keats (Ben Whishaw) si innamora della bella Fanny Browne (Abbey Cornish), studentessa di moda e appassionata di letteratura. Storia d'amore intensa e tormentata, soprattutto segreta: tre anni dopo, alla morte del poeta romantico, la loro corrispondenza farà scandalo nella puritana società dell'epoca. Fin qui, la biografia, poi arriva il film, ed è un'altra cosa: se, come diceva lo stesso Keats, “la poesia non ha nulla di poetico”, Jane Campion si rassegna a una sterile parafrasi, piena di quadri in chiaroscuro, moti dell'animo che non spostano un filo d'erba e una lettura tra le righe che lascia una teoria di inconsulti omissis. Ben Whishaw mette volto e fisico emaciato, Abbie Cornish prova a crederci, ma è l'altra faccia, ugualmente asettica, del gossip, almeno per chi di quella poesia vorrebbe scoprire il testo a fronte umano, sperabilmente troppo umano. Invece, no: la Bright Star di una Campion ritornata al film in costume non brilla né per carnalità, totalmente assente, né per corporeità, con sguardi e gesti in cerca di resurrezione. Così i versi che rimangono in mente non sono di Keats, ma di Alessandro Manzoni: "Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro…". (Federico Pontiggia)