E' finita. Era il 21 novembre 2008 quando per la prima volta Twilight subissava di copie (600) le nostre sale. Sono trascorsi da allora anni e metri di pellicola: tre (anni) per gustarsi il primo rapporto erotico interspecie, uno in più per vedere uno straccio di combattimento. E' il regolamento di conti finale in cui se le danno di santa ragione succhiasangue, ibridi e licantropi. Eccolo il piatto forte di Breaking Dawn - Part II, se avete la pazienza d'attendere: prima però, un'ora e passa d'interminabili moine tra Pattinson e la Stewart, frasi del tipo "lo potremo fare per sempre, continuamente, senza mai dormire", la scoperta dei poteri acquisiti dell'Ella Fu Mortale, le spiegazioni rese e non rese all'intontito padre, la crescita ultrarapida della figlioletta (Renesmee, la creatura immortale ma non draculesca di Edward e Bella) e la notizia del di lei imprinting su Jacob, che atterrisce Bella come una madre sana di mente alla scoperta che la figlia sposerà l'uomo lupo (Taylor Lautner).
Poi, finalmente, si combatte. Vampiri cattivi (i Volturi) contro vampiri buoni (la cricca dei Cullen) e in mezzo lei, Renesmee, il diverso che inquieta (ogni mondo è paese, persino tra vampiri). Vada come vada, vissero per sempre felici e contenti. Beati loro. A noi non resta che congedarci con l'ultima recensione possibile.
In saghe lunghe come queste (che nemmeno i Nibelunghi), si arriva al punto in cui il giudizio sul singolo episodio si trascina appresso quello dei suoi precedenti. Dopo anni è la saga nel suo complesso ad aver lasciato un'impressione, nonostante l'avvicendarsi dietro la macchina da presa di registi diversi (per la cronaca: qui è Bill Condon). E' questo il caso in cui le caratteristiche fenotipiche di una serie sono più importanti delle singole occorrenze. Il logo vince sul prodotto, la franchise sull'autore. Se un cambiamento c'è stato è solo nell'evoluzione naturale della franchise, nella maggiore alchimia tra i suoi interpreti, nella crescente fidelizzazione dei fan che le ha permesso di esibire una sicumera crescente, forse pure una baldanzosità nel modo in cui si è offerta al suo pubblico in barba a tutti gli altri (critici, non-fan).
Lo abbiamo visto con chiarezza nel dittico di Breaking Dawn, dove una sfrontata vena autocelebrativa ha rotto ogni indugio, contro ogni riguardo narrativo ed estetico.
La critica si è sforzata negli anni di capire perché Twilight fosse diventato un fenomeno. Nel nostro piccolo abbiamo tirato fuori un campionario abbastanza dettagliato di possibili risposte, contorsioni retoriche ("L'upgrade di Romeo e Giulietta di impronta emo, tra spirito ecologista e trasgressione adolescenziale", Federico Pontiggia), esegetiche impossibili ("Una versione di Essere e tempo in salsa fantasy", il sottoscritto), formule sbarazzine ("Spericolato bazar iconico-morale", sempre il sottoscritto). Parole e paroloni, non sempre appropriati.
Oggi dobbiamo riconoscere di aver mirato alto e male, che in fondo questo Twilight non ha mai avuto altra pretesa se non quella di raccontare una storia d'amore adolescenziale. Condita certamente da molte ossessioni del nostro tempo: la bellezza, la mutazione, la liberazione dai vincoli corporali. A ben vedere è il tipico corollario di una cultura digitale, indifferente tanto alle domande di senso - nessuno dei personaggi della saga si chiede mai quale sia il vero significato delle proprie scelte e della propria vita - quanto alle sue contraddizioni. La più grande: l'idiosincrasia per la carne e la sua corruzione va a braccetto con la legge dell'istinto (la fame e la sete, il sesso e l'imprinting), nella fede in un animalismo teorico, senza sporcizia e senza macchia, algido e alfanumerico.
Dopo Twilight il mito del vampiro non sarà più lo stesso. Non solo perché la saga ha sdoganato una versione zuccherosa dell'amor fou, ma perché ha negato al vampiro la dannazione. Un tempo costui soffriva per la perdita dell'anima, oggi che l'anima l'hanno persa un po' tutti soffre per la dilazione del desiderio. Nonostante il tema e la ricca tradizione alle spalle, Twilight ha sempre esibito una metafisica col coperchio. Non c'è mai stata verticalità - dalla terra al cielo - qui, ma solo orizzontalità, con l'immortalità ridotta a infinito prolungamento dei giorni e la beatitudine concepita come un eterno flashback, dove felice è chi potrà rivedere a piacimento ciò che ha già visto e vissuto una volta. Che è anche l'ultimo lascito ai fan. Benedetto homevideo...