L’orrore dei campi di sterminio e la furia nazista sono purtroppo noti in ogni spaventoso dettaglio. Fin da subito, alla crudezza paralizzante delle testimonianze reali e visive, si sono aggiunte le interpretazioni autoriali ed artistiche di chi ha voluto rintracciare le cause e le conseguenze di una delle più ripugnanti ferite della Storia recente.

Bocche Inutili di Claudio Uberti appartiene a quest'intenzione. Distribuito in collaborazione con la rete degli esercenti di Galassia Cinema, il film-evento (nelle sale fino al 29 aprile) racconta la struggente storia di Ester (Margot Sikabonyi), ebrea italiana, che scopre di essere incinta mentre si trova imprigionata nel campo di concentramento di Fossoli.

Pur essendo maltrattata e brutalmente vessata, la donna non smette tacitamente di combattere, di privilegiare la propria fede e soprattutto di sperare, cercando in tutti i modi di salvare sé stessa e il figlio non ancora nato. Inoltre la convivenza con le altre prigioniere, anch’esse colpite da ingrata sfortuna, all’inizio non è così empatica, anzi profondamente complessa. Ester verrà aiutata dalle compagne (Lorenza Indovina, Nina Torresi, Morena Gentile, Anna Gargano, con la partecipazione di Patrizia Loreti) o sarà tradita? Riuscirà nel pericoloso intento?

Al di là della drammatica vicenda, ad essere descritta è la privazione di qualsiasi forma di dignità e di quei diritti inviolabili riguardanti le libertà e i valori basilari della persona a cui è stata sottoposta un’intera umanità di uomini, bambini e donne. Ed è su queste ultime che il film pone l’accento.

La narrazione, infatti, si concentra sul concetto di femminilità nella sua interezza, facendo emergere una duplicità strettamente consequenziale. Prendendo in considerazione la citazione del filosofo Emmanuel Levinas, evocata nel primo frame, “la femminiltà ci è apparsa come una differenza (…) non soltanto come una qualità differente da tutte le altre, ma come qualità, appunto, della differenza”, intuitivamente è possibile cogliere la doppiezza appena menzionata. La negazione violenta e barbara della femminilità contrapposta all’affiorare delle sue specifiche caratteristiche.

Alla cancellazione totale dei tratti estetici e all’umiliazione di essere denudate al pubblico ludibrio, va ad affiancarsi il perpetrare della crudeltà, dell’odio verso il genere perché procreatore del nemico.

Ma la condizione ormai proibita di ‘essere donna’ non impedisce al senso di protezione ed accoglienza (connaturate specificità del femminile) di concretizzarsi nella difficile sopravvivenza, nonostante diventi sempre più arduo fidarsi del prossimo, anche di chi sta subendo la medesima immane ingiustizia.

La messa in scena, in cui la divisione tra il dentro del dormitorio e il fuori del campo di prigionia, è del tutto funzionale: la contrapposizione tra l’esterno, palcoscenico di brutalità da parte degli aguzzini, e l’interno della baracca, dove la collettività delle donne si schiera unita per la rinascita, è chiara. A palesarsi è quindi una storia di resistenza, affinché l’aggettivo ‘inutile’ del titolo non descriva più nessun essere umano.