Se Jeremy Saulnier fosse ricco di idee quanto lo è di stile, a quest'ora staremmo parlando di Blue Ruin come di un capolavoro. Non è così, e questo sconclusionato oggetto un po' noir postmoderno, un po' dark comedy e un po' pahmplet sull'idiozia umana, non trova mai l'espediente giusto per convincerci di avere davanti qualcosa di diverso da uno stucchevole giochino d'autore.
La Blue Ruin del titolo si riferisce alla Pontiac infangata, ammaccata e infine insanguinata su cui viaggia Dwight (uno stralunato Macon Blair), barbone che vive d'espedienti, usa il bagno altrui per lavarsi, raccatta bottiglie vuote e mangia quel che pesca. Finché la notizia della scarcerazione del "presunto" killer dei genitori non lo manda fuori di testa. Dwight medita vendetta e Blue Ruin sembra scivolare sulla classica caccia all'uomo da revenge-movie. Peccato che l'uomo in questione muoia quasi subito e che altre siano le imprese sanguinarie che toccheranno all'improbabile giustiziere.
Crudezze e freddure varie messe in scena con dovizia di dettagli e compiaciuta esuberanza formale. E mentre il meccanismo della violenza - c'è un traffico d' armi domestico che nemmeno Quei bravi ragazzi... - prende piede, agendo indipendemente da logiche e motivazioni degli interessati (a un certo punto non si capisce perché ci si continui ad ammazzare) il movimento del film resta molle e quasi svogliato, come se fondamentalmente questa storia non interessasse nemmeno a chi la racconta.
Girato in Virginia con pochi mezzi a dispetto dell'opulenza visiva, Blue Ruin regala almeno un paio di scene altamente ridicole e piuttosto divertenti, che non si discostano però dall'impressione generale: qui è tutta accademia.