Non sono molti i documentaristi che affrontano il cinema di finzione con la stessa qualità con cui approcciano le storie di vita. Esempio recentissimo è James Marsh, di cui ricordiamo gli eccezionali Man on Wire e Project Nim, mentre ben poco entusiasmo suscitano Shadow Dancer e La teoria del tutto, opere piuttosto convenzionali.

Lo stesso accade a Kevin Macdonald, produzione documentaria d’eccellenza, come Un giorno a settembre, sulla strage delle olimpiadi di Monaco del 1972, o al docu-fiction alpinistico La morte sospesa.

Black Sea ne è il contraltare sottomarino, storia di marinai disoccupati che si trasformano in mercenari per recuperare un carico prezioso affondato nelle profondità oceaniche.

Atmosfere claustrofobiche, introspezione umana e thriller, gli ingredienti c’erano tutti, ma manca paradossalmente l’elemento che contraddistingue il documentarista. Black Sea è un film freddo, il sottomarino un formicaio attraverso cui osservare le interazioni dei personaggi. Latitano empatia e ritmo, difetto di cui soffrivano anche le precedenti opere di finzione del cineasta scozzese.

Resta l’ennesima bella prova d’attore di Jude Law, che migliora di pari passo alla stempiatura.